A Bagolino, tra innocenza e seduzione che creano naturalezza
Sei in un un paese di montagna. Lo vedi: c’è il paese e c’è la montagna. Non c’è molto da capire, in teoria. Isolato ma attraversato da conquiste, anime, eserciti, tradizioni. Fuori dal mondo, ma con un carnevale di una raffinatezza che simile la trovi soltanto a Venezia. Certo, ci troviamo nelle terre della Serenissima. Gli aggettivi che evoca un luogo così sono due: innocente e seducente. Sì, è così. Innocente per via del nitore del cielo e della valle, per l’essenzialità, visiva e non, che si respira. Seducente per la complessità che si coglie soffermandosi sui dettagli.
Un carnevale così articolato, un formaggio tipico che non è un prodotto caseario, ma il risultato di uno studio filosofico sul significato del latte. Cosa c’è di più attraente di un cibo perfetto, figlio di equilibrio e sapienza, in un ambiente perfetto, dove quando c’è la folla riesci a immaginare il silenzio e viceversa? E una volta unite, l’innocenza e la seduzione, cosa creano? La naturalezza, una virtù che, a differenza di quanto si possa pensare, nasce non dall’osservazione ingenua dell’esistenza, ma dalla piena coscienza della realtà e dell’immaginazione. Qui c’è di più, molto di più di ciò che si vede. Nell’originale interpretazione di una festa antica, nelle sfaccettature del Bagoss e in tutto il resto.
Bagolino racconta di pestilenze, incendi, calamità e invasioni passate, ma anche della ricerca di risposte agli eventi della vita e della storia. Risposte che vanno oltre questo paesino ridente, oltre i rilievi montuosi e le vie di casette. Ma oltre davvero. Tutto in questo luogo fa convergere i pensieri verso un concetto che si riassume in una sola parola: prospettiva. Concetto di struggente attualità, peraltro. Struggente perché descrive qualcosa che ci manca, che facciamo davvero fatica a figurarci, pur avendone davvero un gran bisogno. Ecco, qui invece si riesce.
Stessa cosa doveva provare Tommaso Sandrini quando affrescò il soffitto della chiesa di San Giorgio, dove ti sembra di vedere strutture immense e invece non è così. La chiamano illusione ottica o falsa prospettiva, ma in realtà è lei quella vera, l’unica che bisogna avere. Quella che fa comprendere il tutto dalle piccole cose. Che fa raddoppiare l’altezza di ciò che si vede, nel quotidiano tentativo di sollevarsi un centimetro in più da terra. Fosse solo per sentire una volta soltanto la carezza del cielo.
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