Cellule tumorali come opere: quando l’arte racconta la malattia

È il progetto di Fondazione Alessandra Bono, Aitic Hdemia SantaGiulia e UniBs sul tumore alla mammella
In Hdemia SantaGiulia sono già state realizzate 30 opere su 35 - © www.giornaledibrescia.it
In Hdemia SantaGiulia sono già state realizzate 30 opere su 35 - © www.giornaledibrescia.it
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Dal micro al macro, dal fisiologico al patologico: all’Hdemia SantaGiulia di Brescia l’arte incontra la scienza e si lascia ispirare da ciò che il nostro corpo rivela al microscopio. Così, dal vetrino alla tela, prendono forma e colore linee che nascondono e allo stesso tempo svelano una malattia. È il progetto, destinato a tradursi in (almeno) una mostra e in un video, che vede impegnati gli studenti della Scuola di pittura e scultura dell’Hdemia grazie a una collaborazione con la Fondazione Alessandra Bono (da sempre impegnata a sostenere la ricerca scientifica, ma anche a promuovere la formazione dei giovani e il benessere delle persone), l’Aitic (Associazione italiana tecnici di istologia e citologia) e il Laboratorio di anatomia patologica del Civile e dell’UniBs.

Dai vetrini alle tele

Tutto parte da «Quelli che ci guardano dentro», ossia i tecnici sanitari di laboratorio che lavorano nelle strutture di anatomia patologica, figure preziose, poco conosciute e purtroppo rarissime riunite nell’Aitic. Che, con il sostegno della Fondazione Bono (conosciuta grazie al collega Massimo Bonardi), hanno trovato «un modo non convenzionale - spiega Moris Cadei, tesoriere dell’Aitic - per far conoscere le tecniche di anatomia patologica agli studenti e, al contempo, lavorare sulla prevenzione».

Una delle opere che verranno esposte durante il convegno - © www.giornaledibrescia.it
Una delle opere che verranno esposte durante il convegno - © www.giornaledibrescia.it

Nel dettaglio, all’interno del progetto «Cellule come opere d’arte», gli studenti dell’Hdemia hanno lavorato su immagini di tumori alla mammella: «Abbiamo ingrandito 400 volte dei piccoli vetrini e - spiega il prof. Adriano Rossoni - in queste grandi proiezioni abbiamo individuato dei quadrati a nostro avviso interessanti dal punto di vista artistico. Ottenuto l’ok di due specializzande della Scuola in anatomia patologica circa l’esistenza, in questi quadrati, di informazioni significative sulla presenza o meno della malattia, gli studenti si sono messi al lavoro. E, con la tecnica olio su tela, hanno riprodotto le immagini mettendo in luce la trasformazione delle cellule dal fisiologico al patologico. Al momento sono pronte 30 tele su 35. In aggiunta gli studenti hanno realizzato anche tre opere a matita su carta partendo da schermografie con macchie neoplastiche». Presumibilmente in autunno le opere verranno presentate durante un convegno sul tumore alla mammella. Nel frattempo, Lorena Rinaldi, studentessa all’ultimo anno della Scuola di Nuove tecnologie dell’arte, sta realizzando, come progetto di tesi, un video che prende spunto proprio dalle tele dei ragazzi per raccontare, in modo animato e tridimensionale, la mutazione dal fisiologico al patologico: «L’obiettivo - spiega il prof. Fabio Groppi - sarà mostrare la verità con un’immagine gentile, artistica». Come anticipa Cadei, «il video verrà utilizzata dall’Aitic per sensibilizzare la comunità sull’importanza della prevenzione».

I tecnici di Laboratorio

Il progetto, dicevamo, si inserisce in un percorso che vede il Laboratorio di Anatomia Patologica diretto da Carla Baronchelli a contatto diretto con gli studenti. Un percorso che, come osserva la ricercatrice, nonché docente dell’UniBs, Piera Balzarini, «ci aiuta a riposizionare il focus sul paziente, andando così oltre il materiale biologico che siamo abituati ad analizzare. E ci consente di far conoscere la figura del tecnico sanitario che lavora in Laboratorio (dove facciamo attività di ricerca applicata alla diagnostica) a fianco di biologi e anatomopatologi: ha un ruolo importante, è la nostra macchina operativa».

Purtroppo, si diceva, in Italia il numero di tecnici a disposizione è insufficiente: «A Brescia iniziano il corso in trenta - aggiunge la prof. Balzarini - ed, entro la fine, ne perdiamo dieci. Il corso è severo e alcuni lasciano perché ambiscono a iscriversi a Medicina». Questo problema sta a cuore anche alla Fondazione Alessandra Bono, tra i cui obiettivi c’è proprio quello di «avvicinare i giovani alle materie scientifiche, inerenti in particolare la sanità e la ricerca - spiega la vicepresidente Laura Ferrari -. Da qui il sostegno al progetto "Cellule come opere d’arte", che rappresenta un modo per comunicare la scienza ai non addetti ai lavori. E per far appassionare gli studenti facendo loro capire quanto sia importante».

Amore per la vita

Di ricerca parlava tantissimo anche Alessandra, deceduta all’età di 44 anni dopo 12 anni trascorsi combattendo contro il cancro all’ovaio. Un tempo lunghissimo se si considera che, quando ha scoperto la malattia, la sua aspettativa di vita era per il 30% a un anno e la casistica non riportava alcuna speranza oltre il quinto anno: «Lei era la prima ricercatrice e sostenitrice della ricerca - ricorda Ferrari -. Ha vissuto 12 anni con il cancro grazie alle sue qualità personali: si è sottoposta a cure e interventi con lucidità e intelligenza senza mai darsi per vinta dimostrando grande amore per la vita».

La Fondazione nata in sua memoria sostiene i progetti di ricerca sul tumore ovarico portati avanti dal prof. Maurizio D’Incalci dell’Humanitas University e dal suo team: «L’obiettivo è arrivare alla definizione di un pap test in grado di intercettare un tumore fino a nove anni prima dell’insorgere della malattia. La diagnosi precoce è infatti fondamentale: oggi il cancro dell’ovaio viene scoperto perlopiù al terzo stadio. Gli studi del prof. D’Incalci fanno ben sperare. Noi ci crediamo, nel ricordo della nostra Alessandra».

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