Il maestro Massari: «Il meglio studiando ogni ingrediente»
Chef per una notte viaggia a gonfie vele, le vostre ricette arricchiscono il sito del Giornale (gusto.giornaledibrescia.it) e la nostra community ha ripreso pienamente vita tra serate di presentazione e le imminenti «Lezioni di chef» previste in Cast Alimenti. È forse questo il momento migliore per far quattro chiacchiere con Iginio Massari, il maestro pasticciere più famoso d’Italia, che anche que- st’anno ci onora presiedendo la nostra giuria di esperti.
E proprio a lui abbiamo innanzitutto chiesto quali criteri usa per la valutazione di un piatto. «Ogni cibo, ogni piatto - risponde Massari - deve essere innanzitutto pensato, deve rispondere ad una logica direi comportamentale del cibo. Non mi interessa tanto essere stupito o meravigliato, troppo spesso in negativo da tante preparazioni anche di cuochi famosi, ma apprezzare il piacere di accostamenti studiati, di unioni virtuose, d’un equilibrio di sensazioni positive e appaganti».
Equilibrio sembra proprio la parola chiave. «Sì, la coerenza tra gli ingredienti, che vuol dire proprio ricercare e ottenere l’equilibrio tra i sapori e i gusti aromatici. Ed a questo risultato si arriva solo con la conoscenza e lo studio, non con l’improvvisazione. La cucina è una scienza con precise regole di base in continua evoluzione insieme a tutte le altre branche del sapere che si occupano del cibo. Per il cuoco è un processo di apprendimento senza sosta, un continuo mettersi in discussione, ad esempio per modulare le quantità, per affinare gli abbinamenti, per conoscere e utilizzare al meglio gli ingredienti e le tecniche».
In questi anni si punta molto sui contrasti di sapore: è la strada giusta? «Più che di contrasti io preferisco parlare di combinazioni molecolari tra i diversi ingredienti. Non è banale ad esempio sapere che sale, zucchero e pure alcune componenti acide sono naturali esaltatori di sapore. Ecco allora che per avere ad esempio il pieno godimento d’una mandorla in un piatto non sarà necessario impiegarne in gran quantità, ma basterà trovare il giusto esaltatore per evidenziarne al meglio l’apporto».
L’attenzione alle quantità è forse figlia d’una stagione molto attenta alla dieta? «Di diete si parla da tanti, forse troppi anni, e spesso a sproposito. Già 15 anni fa c’era chi sosteneva che lo zucchero fa male, mentre la verità acclarata da decine di studi dice che ogni cibo se mangiato con ingordigia fa male. Basterebbe comportarsi con un minimo di buon senso, non solo a tavola: mangiare il giusto e con varietà, ma pure dormire il giusto, camminare il giusto...». Oltre all’impronta dietetica, tra le nuove tendenze sembra farsi strada la valorizzazione dell’amaro. Cosa ne pensa? «Da pasticciere, ma non solo, dico che in natura, di solito, l’amaro è la caratteristica di ciò che non dovremmo mangiare, è il riflesso che il nostro corpo utilizza per dirci che quella cosa è inadatta al consumo, tossica. L’amaro è insomma un gusto da trattare con le pinze, un’opportunità in cucina riservata a cuochi con grande sensibilità e cultura, una scelta per pochi al di là della moda (anche se la bevanda amara di maggior successo al mondo è italiana, il Campari). Tornando in cucina però, mi pare più interessante la tendenza innovativa che prova a utilizzare un ingrediente nella sua interezza, a sfruttare totalmente un frutto o un seme. Penso ad alcune scelte d’avanguardia nel cioccolato: da sempre veniva ad esempio scartata quella bava bianca che si trova nel cacao fresco, scartata perché fermenta. Qualcuno però, studiando e applicando tecniche aggiornate, è riuscito a controllare quella fermentazione scoprendo il gusto dolciastro della bava. Sono nati così cioccolati che, sfruttando proprio quell’elemento considerato di scarto, sono dolci senza l’aggiunta di zucchero. Ecco: studiare gli ingredienti per sfruttarli appieno mi pare una bella sfida per il nostro futuro».
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