Cerveni: «Dopo lo sgomento mi ha commosso la vicinanza»
«I problemi sono cominciati per noi prima del lockdown. Già a fine febbraio sono crollate le prenotazioni, le disdette per i ricevimenti dei mesi successivi. Ed è stato drammatico vedere azzerarsi in pochi giorni tutto quello che avevo costruito in tanti anni di lavoro. Poi la chiusura e tutt’intorno tanti lutti, tanto dolore. Almeno fino a Pasqua mi sentivo distrutto, sgomento». Stefano Cerveni, chef del Due Colombe di Corte Franca con una stella Michelin (e alla guida di un’altra decina di insegne a Milano) racconta così l’inizio dei mesi tra i più difficili della sua vita di cuoco e imprenditore.
Ma proprio a Pasqua per il ristoratore rovatese, che in questi anni è sempre stato con noi a Chef per una notte, qualcosa è cambiato: «Ero a terra, di più sottoterra - dice - ma ho scelto di non stare fermo, di combattere: non appena mi è stato possibile ho proposto il mio servizio di consegna a domicilio. Non un semplice delivery dei miei piatti, ma ho provato a portare il Due Colombe a casa dei nostri clienti, e di farlo in prima persona. Ed è stato commovente: abbiamo non solo ripreso i contatti, ma consolidato un rapporto umano che non si era mai interrotto e abbiamo sentito di avere tante persone vicine. Bello, bellissimo».
Ora, pur con i limiti inevitabili di una lenta riapertura e le preoccupazioni per l’impossibilità d’organizzare eventi, il ristorante ha riaperto «e sono felice perché siamo sempre pieni, a conferma che il legame con gli ospiti si è pienamente rinsaldato - aggiunge Stefano -. L’esperienza di questi mesi mi ha poi suggerito qualche riflessione anche in cucina. Naturalmente la mia resta una cucina di cuore, di testa e di pancia, come è sempre stata, ma oggi mi sento più libero, meno condizionato: lavoro senza filtri seguendo la mia espressività. Qualche tempo fa poteva limitarmi il timore di una critica, d’un giudizio, oggi cerco solo di esprimermi al meglio, di realizzare piatti che hanno un’energia maggiore, meno ruffiani».
Questi mesi poi paiono aver portato Stefano ancor più vicino alla sua terra: «Non è questione di chilometro zero - precisa lo chef -. Uso da sempre materie prime del mio orto e delle cascine di Franciacorta e altre che arrivano da molto lontano. Ma sento oggi con più forza le mie radici, parto sempre dal mio territorio magari per guardare al mondo, lo ascolto, cerco di valorizzarne tutte le eccellenze. Inoltre propongo meno piatti nel menù, ma cambio menù ogni due settimane non ogni due mesi, stimolato da mille sollecitazioni».
L’ultima notazione è poi sull’atteggiamento prevalente tra gli ospiti: «Si sente ora un gran desiderio in tutti di lasciarsi alle spalle, almeno per qualche ora, preoccupazioni e timori - conclude Stefano -. C’è il piacere evidente di trovarsi, di stare bene, mangiare bene, bere bene. E si sta a tavola molto più di prima. Ma ciò che mi colpisce di più è la voglia di sostenere noi, di apprezzare il nostro lavoro. Ed è una sensazione che gratifica davvero».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato