Tra storia e ricordo al Museo della Guerra Bianca dell’Adamello

Una testimonianza viva delle giovani vite finite nella macchina di un conflitto combattuto anche sull'Adamello
Foto d'epoca durante il conflitto in Adamello
Foto d'epoca durante il conflitto in Adamello
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Dopo aver visto il Museo della Guerra Bianca dell’Adamello a Temù non riuscirai più ad alzare lo sguardo verso le vette innevate senza pensare alla generazione che ha dato la vita e la giovinezza su queste montagne. Te ne accorgerai subito, sulla strada del ritorno, che non sei più uguale a prima. Ti sentirai più pesante e insieme più leggero, più triste e allo stesso tempo pieno di gratitudine.

Perché andare a vedere un posto che parla di guerra, morte, privazioni e sofferenza? Non è che poi ti deprimi? Mavalà. Da quando in qua riflettere sulle cose davvero importanti ha effetti negativi sulla crescita umana dell’individuo? Semmai è il contrario: è il non pensare a niente, lo svuotarsi la testa che crea mostri. E conflitti. Entri e vedi misere suppellettili di poveri disgraziati, vestiti logori, una baracca con brande e mobili da poco, foto sbiadite di soldati mezzi congelati.

Alcuni più giovani di altri

Forse tra loro c’è qualche ragazzo del ’99, l’ultima leva della Grande Guerra. Son tutti magri ma pettinati come si deve, con la barba in ordine (chi ce l’aveva già) e la schiena dritta. Rimasero per anni in cima ai picchi, dove avevano portato tutto l’occorrente per vivere e per combattere, aiutati dalle strutture che si costruivano da soli, da muli, che diventavano ciechi per il riverbero del sole sulla neve, e da cani bianchi.

Immagine d'archivio della Guerra Bianca - New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
Immagine d'archivio della Guerra Bianca - New Eden Group © www.giornaledibrescia.it

Scopri che questi uomini dovevano affrontare ogni giorno condizioni estreme (negli anni tra il 1915 e il 1918 la temperatura in inverno sfiorò i 40 gradi sotto zero) e che spingevano a braccia i cannoni sulle cime (troppo ripide per gli animali), affinché gli austriaci ne avessero paura. Uno di questi pezzi d’artiglieria è ancora lì, una scultura a ricordo della fatica e del dolore. Ci sono molte foto, tra cui quella con tre cagnoloni che trainano una slitta. Loro e il soldato che li guida ti fissano fieri e severi: immagine tenera e amara che è un monito, oltre che una condanna.

Per illustrare meglio il concetto alle pareti sono riprodotti stralci di lettere che spiegano ciò che quegli uomini hanno dovuto vedere. Luigi Baccolo di Salò scrive: «...appena hanno distribuito i viveri di riserva (cognac, grappa e marsala), ho capito tutto... perché quando davano i generi di conforto era come darti l’olio santo, andavi a picchiare all’uscio della morte...» No, non guarderai più questi luoghi con gli stessi occhi. I ragazzi della Guerra Bianca cambieranno il tuo sguardo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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