Fascismo e antifascismo: capiamoci bene

Per evitare pericolosi «al lupo, al lupo», meglio mettersi d’accordo sul significato delle parole. Abbiamo chiesto di aiutarci a una docente universitaria di storia
Isabella Insolvibile, docente universitaria e ricercatrice di storia © www.giornaledibrescia.it
Isabella Insolvibile, docente universitaria e ricercatrice di storia © www.giornaledibrescia.it
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Su fascismo e antifascismo riceviamo molte lettere, con opinioni differenti, spesso contrastanti. Per offrire spunti di riflessione, almeno sulla correttezza dei termini e sul loro significato, abbiamo chiesto aiuto alla storica Isabella Insolvibile, che venerdì 7 marzo 2025, alle 20.45, alla Pieve di Urago Mella, in via della Chiesa, ha in programma un dialogo su questi temi con Francesca Parmigiani.

Il manifesto dell'incontro a Pieve di Urago Mella © www.giornaledibrescia.it
Il manifesto dell'incontro a Pieve di Urago Mella © www.giornaledibrescia.it

Professoressa, se dovesse definire «fascismo» e «antifascismo» in poche righe, cosa scriverebbe?

Il fascismo è un movimento politico che nasce, si sviluppa e si determina, nel corso della sua storia, sulla base della violenza, resa arma politica della battaglia contro l’avversario, che non è un oppositore da sconfiggere, ma un vero e proprio nemico da eliminare. È un nemico interno, come l’antifascismo o i connazionali ebrei, e un nemico esterno, destinatario di tutte le guerre che il fascismo intraprende nella sua esperienza storica, connotata appunto da una guerra dopo l’altra. Non c’è fascismo senza violenza: politica, sociale, economica, fisica, bellica. L’antifascismo è la risposta a tutto questo, ma in più ha forti basi ideologiche, politiche nel senso più pieno della parola. Si schiera contro il fascismo per ideali di libertà e di democrazia, ma anche di miglioramento sociale. È una risposta politica, quindi, ma anche una risposta declinata in armi, quando ci si rende conto della mancanza di alternative. La scelta della violenza, per l’antifascismo, è obbligata, è data dalla necessità di rispondere alla violenza fascista. È una scelta legittima, è la scelta della Resistenza partigiana del 1943-1945.

Se è la «violenza» a distinguere il «fascismo», importante è definire bene che tipo di violenza. Perché anche questo termine, come tutti, è soggetto a cambiamenti di sensibilità. Facciamo un esempio: quando De Gasperi e Togliatti non se le mandavano a dire, durante i comizi dell’immediato dopo guerra, con i criteri attuali potremmo dire che usavano «violenza», ma nessuno si sogna certo di definirli «fascisti». Dunque è importante definire quali atteggiamenti oggi possono essere considerati tanto violenti da essere associabili al fascismo e quali invece sono urtanti, fastidiosi, deprecabili, ma non per questo sufficienti a definire una minaccia «fascista».

Dobbiamo assolutamente distinguere. La violenza del fascismo alla quale faccio riferimento è la sua violenza «storica»: la violenza degli incendi delle case del popolo, dell’olio di ricino, dell’assassinio degli oppositori o della loro carcerazione, del confino, della cancellazione dei diritti democratici fondamentali, dei gas sugli etiopi, delle stragi di partigiani e civili nei Balcani, delle deportazioni, delle leggi razziali e, poi, della deportazione degli ebrei insieme ai tedeschi, degli eccidi di civili e partigiani nel 1943-1945. Potrei continuare. Sul fascismo dopo quell’esperienza, cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale, però, bisogna stare attenti. Le definizioni sono importanti. Le parole contano. Purtroppo la fine della guerra non è stata la fine del fascismo.

Alla luce di quanto ci siamo detti, non esiste il pericolo che si accusi di «fascismo» con troppa facilità, facendo perdere ad esso di efficacia ed ottenendo una sorta di effetto «al lupo, al lupo»?

Il fascismo è una mentalità perdurante nella storia d’Italia, e forse non solo. Certo, dal 1945 in poi non è la mentalità dominante, non ci governa. Noi siamo generazioni fortunate: siamo nate e cresciute in una democrazia antifascista. Questo non significa, però, che il fascismo sia scomparso o sia stato sconfitto. Non averci fatto i conti davvero, dopo la fine della guerra, ha pesato e pesa tantissimo. La generale impunità che ha connotato i crimini del fascismo, e quindi i crimini degli italiani, ha influito su tutta la storia successiva. Ha pesato sulla nostra democrazia. La quale, come tutte, non è mai data una volta per tutte. Va protetta, va tutelata. Bisogna stare attenti: se qualcosa non è fascismo, potrebbe diventarlo. Certo, non il fascismo degli anni 30 del secolo scorso. Come ogni fenomeno, anche il fascismo si è modificato, è cambiato, si è connotato diversamente. Dobbiamo essere in grado di riconoscerlo e di affrontarlo. La nostra Costituzione ci mette a disposizione tutti gli strumenti necessari per farlo.

Se le chiedessimo, a bruciapelo: da storica, nell’Italia attuale esistono forme reali di fascismo oppure sarebbe ora di trovare parole nuove per definire fenomeni che possono comportare rischi e pericoli per la convivenza democratica?

Non stiamo vivendo un momento facile. Né in Italia, né in Europa, né nel mondo. E sì, credo che in qualche modo, nei modi modificati, esistano oggi forme e manifestazioni di fascismo. Lo è l’attacco alla Cgil nel 2021. Lo sono i tentativi, anche recentissimi, di impedire a miei colleghi di esporre in pubblico i risultati delle loro ricerche. Lo sono gli attacchi al nostro Presidente della Repubblica. Lo sono le braccia tese di esponenti politici stranieri o di comuni cittadini italiani nelle nostre strade, come è successo a Brescia nel dicembre scorso. Lo sono i cartelli esposti nelle scuole che accomunano l’antifascismo alla mafia. Lo è l’impunità, di nuovo, che segue tutto questo. Certo, c’è molta ignoranza alla base. Ma è un’ignoranza che viene sfruttata politicamente. Per fortuna, però, anche l’antifascismo è molto presente, ed è quello che ci permette di difenderci. Per essere antifascisti, del resto, basta essere democratici, credere nella nostra Costituzione nata dalla Resistenza antifascista. Lei ci difende, noi difendiamo lei. È un circolo virtuoso, una volta tanto. Per fortuna.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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