Secondo Istat l'occupazione aumenta, ma i dati dicono anche altro
Sono certamente buone notizie quelle diffuse dall'Istat nella nota statistica del 1° agosto. Il numero di occupati a giugno 2022 torna a superare i 23 milioni ed è maggiore rispetto a quello di giugno 2021 dell'1,8% (+400mila unità) mentre, sempre rispetto a giugno 2021, diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-13,7%, pari a -321mila unità). Rispetto a giugno 2021, l'incremento di oltre 400mila occupati è determinato dai dipendenti che, a giugno 2022, ammontano a 18,1 milioni, il valore più alto dal 1977, primo anno della serie storica. Da record anche il tasso di occupazione, che sale a 60,1%, mentre quello di disoccupazione è stabile all'8,1%.
Si tratta certamente di segnali positivi che autorizzano un poco di ottimismo in questa fase in cui si intrecciano diversi aspetti di incertezza e criticità. Ma c'è più di un ma da considerare nell'analisi di questi dati che, al di là dell'enfasi nei comunicati stampa, vanno letti con attenzione ed in particolare quando si proclamano record e si azzardano confronti tra epoche diverse.
L'analisi dei dati
Partiamo da un aspetto fondamentale. Per tutti noi l'occupato è quello che ha un posto di lavoro, insomma che sta a posto. Per l'Istat, come si legge nella nota metodologica, gli occupati «comprendono le persone tra 15 e 89 anni che nella settimana di riferimento (per l'indagine campionaria ndr): hanno svolto almeno un'ora di lavoro a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti (ecc)»
Per dirla semplice chiunque lavora, anche dieci ore al mese, per la statistica Istat è occupato. Il che, ovviamente, in tempi di estrema precarizzazione del lavoro, fa la differenza. Perché i nostri 18.106.000 occupati alle dipendenze, al giugno 2022, non sono per niente uguali a quelli del 1977, epoca nella quale essere occupato significava essere occupato stabilmente.
Peraltro, nella nota statistica diffusa dall'Istat si evidenzia come, tra i lavoratori dipendenti, al giugno 2022, quelli a termine sono 3.138.000. Giova inoltre considerare che dei «nostri» 400mila occupati in più la maggior parte sono dipendenti a termine (+208 mila, +7,1%), a fronte di +194 mila dipendenti permanenti (+1,3%). Certo che aumentino i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato è buona cosa, anche se, tra questi, ci sono tutti coloro che hanno contratti part time, volontari e involontari. E sono tanti.Il contesto
Quasi 5 milioni di occupati (il 21,7% del totale) oggi sono «non standard», cioè a tempo determinato, collaboratori o in part-time involontario. Tra giugno 2021 e giugno 2022 ad aumentare in misura maggiore sono i lavoratori dipendenti a termine (+20 mila, +7,1%) mentre, nello stesso periodo aumentano - ed è positivo - anche i lavoratori con contratti permanenti (+194 mila, 1,3%), categoria che comprende anche i part time involontari.
Insomma, insieme alla notizia positiva dell'aumento dell'occupazione dovremmo, piuttosto che parlare di record che scaturiscono da confronti improbabili, prestare attenzione a che tipo di occupazione aumenta. Non è banale. È un tema del presente e del futuro che, a volte, nei comunicati stampa si dissolve lasciando all'analisi statistica il compito di riportare i piedi per terra. Aumenta il numero di occupati, ed è un bene, ma diminuisce la quota di lavoro standard, per capirci quello a tempo indeterminato e tempo pieno. Quello che una volta era sinonimo di occupato. Che ti consentiva un progetto di vita. Il lavoro.
@Economia & Lavoro
Storie e notizie di aziende, startup, imprese, ma anche di lavoro e opportunità di impiego a Brescia e dintorni.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato