Economia

Lavoro, domanda e offerta: «Sono le imprese le prime a dover fare mea culpa»

L’esperto di selezione del personale Danzi: «I dati smentiscono la retorica aziendale»
Lavoro, gap tra domanda e offerta. Nel riguardo l'esperto Osvaldo Danzi
Lavoro, gap tra domanda e offerta. Nel riguardo l'esperto Osvaldo Danzi
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Guardarsi allo specchio è difficile, non sempre piacevole. Ci vuole coraggio per farlo ma, per il tessuto imprenditoriale italiano, riuscirci adesso è una questione di sopravvivenza, di vita o di morte. Le aziende da anni lamentano infatti difficoltà nel trovare persone da inserire negli organici. Un problema che attanaglia tutta l’economia, in primis proprio quel manifatturiero traino dell’intero Paese.

«C’è l’offerta ma non la domanda, così si giustificano le aziende - chiosa Osvaldo Danzi, esperto di selezione del personale nonché fondatore della community FiorDiRisorse -. Questa retorica però si sfalda dinanzi ai dati, davanti alla realtà dei fatti». Il primo problema è «come» le imprese cercano il personale: «Stiamo parlando di due tipi di aziende, o poco strutturate per avere un ufficio del personale adeguato a processi di selezione che vadano oltre al passaparola o imprese più organizzate ma con una cultura del lavoro poco allenata ad attirare i giovani e a trattenere le competenze».

In secondo luogo, e qui sta il vero nodo gordiano secondo Danzi, le imprese «devono domandarsi quale sia la qualità delle loro offerte. Si fa tanto parlare di "profili specializzati" ma se si presentano dei cinquantenni si rimandano a casa. A fronte di tanti proclami sulla mancanza di professionalità si offrono contratti a tempo o chiamata, a 1.200 euro al mese e con scarsissime opportunità di crescita e di formazione. È normale, persino giusto a volte, che un giovane desideri di meglio».

L’esperto smonta così la narrazione dei «giovani fannulloni» spingendosi però anche oltre. «Tra i cavalli di battaglia delle imprese c’è la demonizzazione del reddito di cittadinanza - sottolinea -. Dai dati dell’Inail emerge come in Italia i percettori siano meno di 1,5 milioni, concentrati per la maggior parte al Sud e molto spesso non impiegabili».

Ma Danzi non si ferma qui e affonda il colpo: «Vorrei fare una domanda agli imprenditori: quanti di loro si sono rivolti ai Centri per l’impiego dove sono iscritti i percettori, che al terzo rifiuto di un’offerta perderebbero il sussidio?». E la risposta Danzi la dà «senza timore di sbagliarmi: pochissimi. Perché le imprese che attingono alle liste devono dichiarare stipendi e contratti ma conviene raccontare che la colpa è di qualcun altro».

Un attacco a muso duro quello di Danzi che non risparmia nessuno a che anzi si rivolge con veemenza alle associazioni di categoria, su tutte Confindustria «che è in grado di influenzare i Governi in rapporto ai temi economici ma non riesce ad essere efficace sui fronti aperti da moltissimo tempo e cruciali per il Paese: costo del lavoro, delocalizzazioni e concorrenza».

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Un’analisi in merito al gap tra domanda e offerta di lavoro Danzi la fa anche con riferimento alla dimensione territoriale. «Se un’impresa non trova lavoratori attorno a sé, perché non guarda altrove? - si domanda -. Il Sud è pieno di persone pronte a lasciare le loro case a fronte di soluzioni concrete. Certo, le associazioni di categoria dovrebbero saper fare il loro lavoro: unire gli associati in un progetto comune, investire in strutture e formazione e mettere le basi per una continuità a lungo termine. Tutto il resto sono solo giustificazioni».

Giustificazioni, questa la parola che Osvaldo Danzi utilizza più di una volta nel suo discorso, «un accanimento mediatico per coprire le lacune di una cultura del lavoro che sta perdendo la visione, sotto i colpi di un ricambio generazionale che sta fallendo». Specchiarsi in tutto questo significa per Danzi provare a superare il problema. Fa male, molto male, ma è indispensabile, è necessario.

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