Economia

In tre anni 30mila donne hanno lasciato il lavoro in provincia di Brescia

In Italia nel 2022 una su cinque si dimette quando nasce un figlio. Il nostro Paese è ultimo in Ue per occupazione femminile
PARITA' DA RAGGIUNGERE NEL LAVORO
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Meno pagate rispetto ai colleghi uomini. Spesso precarie e in settori poco strategici. Con a disposizione pochi servizi che le aiutino a conciliare vita e lavoro. In Italia per le donne il mondo del lavoro è ancora caratterizzato da molte difficoltà, tanto che una su cinque finisce per lasciarlo dopo essere diventata madre. E il nostro paese si posiziona fanalino di coda nell’Unione europea per il tasso di occupazione femminile.

Il quadro emerge da un dossier del Servizio studi della Camera, che rileva «una serie di profili critici». Innanzitutto, visto nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia «risulta essere - secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 - quello più basso tra gli Stati dell’Ue, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media» (il 55%, a fronte del 69,3% dell’Ue). Guardando poi alla situazione nazionale si registra «un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro»: le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro i 13 milioni di maschi occupati. Inoltre, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: un aspetto che, si fa notare, «riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa». La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà delle donne (52%) da esigenze di conciliazione e per il 19% da considerazioni economiche.

Nel Bresciano

In meno di tre anni sono state trentamila le donne che hanno lasciato il lavoro nel Bresciano. Le dimissioni nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in provincia sono infatti in crescita continua negli ultimi anni: e se per gli uomini tra il 2021 e il 2022 l’aumento si aggira intorno al 45% rispetto alla media 2014/2019, tra le donne il 2022 registra il 61,2% di dimissioni in più rispetto ai cinque anni precedenti. A colpire è anche la progressione del fenomeno: nel 2021 ha coinvolto 11.837 lavoratrici (il 45% in più del periodo precedente), l’anno scorso si è espanso ancora di più al punto da superare i 15 punti percentuali e da coinvolgere 13.161 lavoratrici bresciane. E i dati parziali del 2023 diffusi dall’Inps non fanno ben sperare: nei primi sei mesi dell’anno sono state già oltre 6mila le dimissioni delle donne.

Nel dettaglio

L’istruzione, tuttavia, «si conferma fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli»: con un livello di istruzione più elevato, infatti, la differenza occupazionale tra madri e non madri è molto bassa. Ma l’occupazione femminile è caratterizzata anche da «un accentuato divario retributivo di genere». Secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%), mentre quello complessivo (la differenza tra il salario annuale medio) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%). Nel 2022 la retribuzione media annua è risultata «costantemente più alta» per gli uomini, evidenzia lo studio citando i dati dell’Inps: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne, con una differenza di 7.922 euro.

Infine, dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l’occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49%delle donne occupate (contro il 26,2% degli uomini).

Da registrare, infine, criticità sul fronte dei servizi che potrebbero aiutare le donne a conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro, come l’assistenza all’infanzia: l’offerta dei nidi risulta in ripresa dopo la pandemia (+1.780 posti), «ma le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno». Con una penalizzazione maggiore per le «famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese».

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