Il futuro dell’economia è di India, Vietnam e Brasile

Il giro del mondo in ottanta minuti. Qualcuno in meno. Il tempo di ascoltare Giulio Sapelli, economista e storico, chiamato in città da Visit Brescia per raccontare i turismi emergenti e che «in viaggio» ha portato chi ha avuto la fortuna e la pazienza di ascoltarne pure le note a margine.
Professore, qual è l’area del mondo sulla quale puntare per fare affari.
Il medio oriente. Anzi, il «grande medio oriente», la vasta zona del mondo che parte dall’Egitto e termina in India, passando dalla Turchia.
E dall’Arabia Saudita.
Certo. Il principe bin Salman ha rotto con le regole di successione e portato una ventata di modernizzazione, dando per la prima volta un ruolo non marginale anche alle donne.
Il voto femminile è stato decisivo per fare vincere Modi, in India, lo stato che viene indicato come la prossima super potenza.
Il primo indicatore della civiltà di un popolo è la condizione della donna. Lì parecchi Stati interni sono governati da leader femminili abili e carismatiche. Non dimentichiamo che è una democrazia da un miliardo e mezzo di abitanti, con oltre duecento partiti e movimenti politici.
Quali sono gli altri elementi a loro favore?
Una classe dirigente evoluta. E poi una forte natalità e la tecnologia avanzatissima.
Due fattori che invece mancano alla Cina.
Una superpotenza che decade ogni giorno, con un ritorno suicida al maoismo.

Eppure Trump sta facendo quel che sta facendo perché ha nel mirino la Cina.
Sì. Il tentativo di Trump è di fare con Putin la mossa che fece Kissinger andando da Mao e Zhou Enlai per indebolire l’Urss. Ora, a campi invertiti, il gioco è identico: allearsi con i russi per indebolire i cinesi.
Nei suoi interventi è impietoso sul futuro del paese governato da Xi Jimping.
Ma dove volete che vada uno stato con una crisi demografica rapidissima? In Cina, ancor oggi, per trasferirsi dalla campagna alla città occorre il passaporto e la povertà è estesa. Sono una dittatura di fatto e le dittature non vanno mai lontano.
Però nel frattempo si sono comprati mezza Africa.
Alt. Hanno indebitato mezza Africa, stampando moneta. È diverso.
A proposito di paesi emergenti, porta spesso l’esempio positivo del Brasile, in sud America.
Ne sono un convinto estimatore, specie ora che le riforme sociali introdotte dalle politiche del presidente Lula stanno trasformando le masse contadine in borghesia contadina, con un aumento generalizzato del reddito pro capite.
Un fermento presente anche in molti stati del sud est asiatico.
Vero. Prendiamo una nazione come il Vietnam. Non ne parla nessuno, ma è uno degli stati emergenti. Ancora comunista ma d’un comunismo serio, con un’industria forte, che non si occupa solo di beni strumentali. E in cui si cura l’educazione dei giovani, dando loro un orizzonte.
Il Giappone, al contrario, è quasi scomparso dai radar della narrazione attuale.
Paga anch’esso una forte denatalità. Sono in una stagnazione secolare, che è un po’ la stessa che attende l’Europa, con decadenza dei redditi e un restringimento della ricchezza da parte della classe media.
Veniamo dunque a noi, all’Europa.
Un dramma. Siamo in mano a fanatici che controllano l’Unione Europea e ne stanno distruggendo l’industria. In più manca la volontà pubblica di difendere l’integrità della cultura, di occuparsi dei giovani.
Come dovremmo «occuparcene»?
Dico soltanto questo: non si cresce da soli, non siamo mica piante. I giovani non si sono mai auto amministrati, hanno bisogno di guide, di maestri.
Nello scacchiere mondiale hanno ripreso quota paesi come la Francia e la Gran Bretagna.
Non scherziamo. La Francia sta giocando con il fuoco della guerra, rischiando che Parigi venga bombardata dai missili russi. La Gran Bretagna invece ormai è irrilevante. Per non parlare della Germania.
Parliamone.
La Germania è una potenza mondiale paralizzata, che gli americani vogliono consegnare di nuovo alla dipendenza energetica dal gas russo.
In un quadro a tinte fosche, ci sarà qualcosa di positivo...
Sì. C’è che l’economia mondiale, nel suo insieme, tiene. Siamo sempre sull’orlo di una crisi finanziaria epocale, ma una crisi tanto tremenda non arriva mai.
Lo spettro dell’inflazione siede sempre al nostro tavolo.
Diciamocelo: solo gli economisti ignoranti parlano di inflazione. Noi viviamo un tempo di deflazione. Vuol dire che vendiamo prodotti a prezzi con i quali, alla resa dei conti, non potremmo pagare chi li produce. In altre epoche avremmo avuto la gente che chiede la carità per le strade. Invece...
Invece? Com’è possibile che il sistema economico regga?
Perché tiene la piccola e media impresa. Perché gli americani tengono. Perché sono nate nuove economie, come quella già citata del Vietnam e di altre decine di paesi.
E per quanto riguarda l’Italia?
Occorre ammettere che anche qui, a fronte di una latitanza della politica, abbiamo avuto una tenuta dei corpi intermedi, dagli industriali agli artigiani. Brescia ne è un esempio preclaro. Manca forse cultura, non l’economia.
Bene allora.
No! Malissimo. Non è l’economia che decide la Storia, bensì la cultura! È un pregiudizio liberista e marxista pensare che l’economia sia il centro del mondo. Il centro del mondo è lo spirito, la cultura appunto.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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