Colture microbiche: è così che il gelato di Bedont fa bene
Nell’epoca in cui sembra che la frontiera dei prodotti «senza» - senza olio di palma, senza coloranti, senza conservanti - sia la sola a cui affidarci per mangiare prodotti sani, arriva un prodotto «con» che è destinato a cambiare l’idea che si ha del gelato e dei suoi benefici.
Si tratta della proposta di un nipote d’arte, se così possiamo dire, ovvero di Roberto Bedont che manda avanti anche con questa piccola rivoluzione la grande tradizione familiare che dagli anni Venti a Brescia lega il suo cognome al gelato.
Roberto in pratica non ha aggiunto nuovi gusti alla sua palette, ma ha cambiato i gusti del gelato da dentro, aggiungendo un ingrediente che rende crema, cioccolato, yogurt, zabaione, caffè sani e salutari. Un’aggiunta che ha già fatto guadagnare al gelato di Bedont un primato, quello di essere il primo prodotto di eccellenza, certificato a livello europeo, proprio per la presenza di questo ingrediente.
Di che si tratta dunque? «Sono tre ceppi di lieviti associati a batteri lattici che hanno l’eccezionale qualità di essere vivi. Ciò significa che una volta mangiato il gelato, i microrganismi si riattivano producendo vitamine, acidi grassi insaturi a catena corta (quelli buoni, nr) e rendendo l’alimento probiotico a tutti gli effetti, quindi salutare».
Se a compiere la scoperta delle colture microbiche, appartenenti ai generi Lactobacillus, Bifidobacterium e Saccharomyces e a stabilizzarli con metodo brevettato ActiLibrium è il veronese Filippo Bussinelli,(il prodotto in questione, unico al mondo, può avere diversi ambiti di applicazione, dalla cosmesi ai prodotti da forno) è di Roberto l’idea di aggiungerli al gelato.
Dopo la laboriosa fase di sperimentazione, il nuovo gelato si può provare alla gelateria di Borgo Trento e da Martha in via Musei che dal 2014 collabora proprio con Bedont per la parte gelateria.
Se le colture microbiche lavorano da dentro è possibile avvertirne la presenza in bocca? «A seconda del gusto i lieviti sono in una determinata percentuale. Lo yogurt è il gusto che forse è virato di più, adesso ha un sapore più pieno. In generale però, anche su tutti gli altri gusti, c’è uno smussamento dei picchi e l’aroma è più rotondo, inoltre il livello zuccherino è ridotto perché lo zucchero viene metabolizzato dalle colture microbiche utilizzate nel gelato. A livello tecnico il gelato si ossida meno ed è maggiormente conservabile».
Una innovazione che arriva in casa Bedont a quasi 100 anni dal primo cono servito a Brescia. Quando lo zio Remo, sceso dalle montagne bellunesi, arriva in città insieme ai fratelli maggiori. Tra via Pile e via Battaglie c’è via Fratelli Bandiera. Proprio qui apre la prima gelateria di famiglia. A condurci nel retrobottega dei ricordi di casa e lavoro è proprio Roberto, il nipote con una formazione accademica in zootecnia e una consistente esperienza nell’ambito alimentare e nella ricerca farmacotossicologica in aziende farmaceutiche, che qualche anno fa, nel 2001 ha sentito il richiamo delle origini.
«Tra i 17 e i 25 anni facevo le stagioni in via Lipella, dove gli zii Gianni e Remo si erano trasferiti nel 1959. Durante le estati spremevo limoni e servivo gelati, poi ho intrapreso il mio percorso di studi, ma mi è sempre rimasto dentro il desiderio di qualcosa di mio e soprattutto il sogno di non far cadere il mestiere dell’artigiano del gelato». Una sorta di “vocazione” che si è ridestata proprio quando i giochi, ormai, per i Bedont sembravano fatti. A fine 2010, infatti, la famiglia cede l’ormai famoso marchio e negozio di via Lipella.
«Ho ricominciato in Borgo Trento che ha la dimensione di un piccolo paese - racconta Roberto - e da una bottega artigianale, l’unione di quelle che un tempo erano un vecchio pastificio e il Caccia e pesca che a Brescia aveva la licenza numero 1. Una dimensione che ha per me il sapore il casa. Qui ci ho messo la faccia come ogni piccolo artigiano fa, continuando il mio lavoro e cercando di innovarlo. Credo molto nella cooperazione e nella rete che le realtà locali produttive di scala minore possono fare per offrire un gelato che sia diverso da quello industriale. Ho fatto mio il credo di mio zio: partire dalla qualità delle materie prime».
Certo i tempi sono davvero cambiati. «Se penso che per fare il gelato mio zio andava poco più che bambino a prendere il ghiaccio in Spalto San Marco e che io, invece, adesso devo pensare alle Instagram Stories… Sì, perché, per assurdo non basta più fare un buon gelato».
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