Doggy bag, è già realtà «ma non basta: si cucini evitando scarti a monte»

È la ricetta dello chef Scalvinoni. Nel Bresciano alcuni clienti chiedono da tempo la «vaschetta» e vengono accontentati
Una pizza avanzata
Una pizza avanzata
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Si chiama «doggy bag», ma i cani non c’entrano nulla: la battezzò così, negli anni Quaranta del secolo scorso, il ristoratore di New York specializzato nella cottura delle bistecche che per primo ebbe l’idea di proporre ai propri clienti una «vaschetta degli avanzi» utilizzando la scusa del cane affinché potessero accettare senza imbarazzi.

In Francia è obbligatoria, negli Stati Uniti è diffusissima (Michelle Obama si portò a casa la pastasciutta avanzata anche a Roma), in Italia desta ancora qualche remora. Ecco perché i deputati di Forza Italia Giandiego Gatta e Paolo Barelli hanno proposto una legge per renderla obbligatoria. Non per i clienti, che potranno continuare a scegliere se portare a casa le fette di pizza e le mezze cotolette. Bensì per i ristoratori che, se dovesse diventare legge, non potranno esimersi dal confezionare in «contenitori riutilizzabili o riciclabili» (chiedendo eventualmente una cauzione) «anche forniti direttamente dal consumatore» ciò che è rimasto nei piatti. Pena una sanzione tra i 25 e i 125 euro.

L’idea ha diviso il mondo del food. Da un lato c’è chi come lo chef Gianfranco Vissani la interpreta come «l’ennesimo aumento dei costi per i ristoratori: i clienti si portano a casa il cibo e poi non lo mangiano». Dall’altro c’è chi la vede come un messaggio anti-spreco e non ha problemi ad acquistare i contenitori giusti e a perdere qualche minuto per prepararla a chi la richiede.

Fa parte di questa seconda categoria Antonella Varese di Dalie e Fagioli, a Manerba: «Il cibo è pagato, sarebbe un peccato buttarlo. A chi chiede la doggy bag, noi la prepariamo volentieri». La pensa così anche Beppe Maffioli, chef patron del Carlo Magno di Collebeato: «Premesso che non tutti i piatti sono facilmente rigenerabili, non negheremmo mai ai clienti di portare a casa una bottiglia di vino mezza piena o il secondo piatto che non sono riusciti a consumare. La doggy bag si può rendere obbligatoria, ma con buon senso».

Stella verde

Estende il discorso lo chef Riccardo Scalvinoni del Colmetto di Rodengo Saiano, l’unico ristorante bresciano a vantare la stella Michelin verde simbolo della sostenibilità: «Nel nostro settore il vero spreco riguarda i materiali e l’energia».

Assodato che si butta più cibo nelle cucine che a tavola, lo chef fa notare che la vera svolta non consiste nell’utilizzare gli scarti, ma nell’evitare di averli. Lui lo spiega con qualche esempio: «Perché devo preparare le patate tornite e pensare a come recuperare gli scarti se posso cucinarle intere? Che senso ha utilizzare le bucce delle carote per fare un brodo che cuoce per ore sprecando energia? La soluzione sta a monte, in cosa si prepara e in come lo si conserva. Noi cerchiamo di ricorrere il meno possibile alla catena del freddo: conserviamo con la salamoia, la fermentazione, sott’olio o sotto sale. In quest’ultimo modo teniamo gli agrumi che ci servono per creare delle salse. E ancora: della zucchina utilizziamo tutto. Idem del carciofo: la pianta ci serve per fare il brodo».

Scalvinoni s’impegna ogni giorno per non sprecare cibo, energia («Abbiamo il fotovoltaico, cuociamo tanto alla brace...») e materiali. Il suo sogno sarebbe sostituire la carta che si usa in cucina per pulire le superfici con «la pelle conciata delle nostre capre. In Inghilterra alcuni ristoranti lo fanno». Ricorre, inoltre, al sottovuoto solo se necessario per non usare la plastica. Quanto alla doggy bag: «Capita a volta che dopo i banchetti ci venga richiesta. Per la verità più dagli anziani che dai giovani. Noi diciamo di sì ma, se ne parliamo prima, chiediamo che portino i contenitori da casa».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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