Covid, il ricordo degli studenti: «Non siamo invincibili, serve unità»
La pandemia ha dimostrato che «non siamo invincibili». Ci ha insegnato che «la solitudine offre l’opportunità di disabituarsi da qualcosa e riscoprire i valori della quotidianità». Ci ha fatto capire che «il lavoro di squadra è fondamentale: solo insieme possiamo farcela». È questa, in estrema sintesi, la «lezione del Covid» riferita dagli studenti bresciani e dai rappresentanti delle istituzioni che stamattina, su invito della Loggia, si sono riuniti al Teatro Sociale per celebrare la Giornata nazionale in memoria di tutte le vittime.
Emozioni
Tra le immagini forti di una Brescia deserta accompagnate dalle strofe di «Angelo» di Francesco Renga e le scene di grande dolcezza e umanità riprese al Civile per il film «Io resto» di Michele Aiello, i giovani delle superiori sono stati invitati a far affiorare ricordi ed emozioni lasciati dalla pandemia utilizzando parole chiave. Ne è emerso un quadro fatto di «solitudine», «paura», «tristezza», «impotenza», ma anche «speranza», «unione», «crescita» e «rinascita». A dimostrazione che, come evidenziato da Ilaria Marchetti, psicologa docente dell’Università Cattolica di Brescia, «la mente focalizzata sul trauma dice che c’è un modo per contenerlo e renderlo generativo».
Incalzato dalle domande del nostro direttore Nunzia Vallini, sul palco per moderare l’incontro, uno studente che ai tempi frequentava l’Arnaldo e oggi studia all’Università di Pisa, ha riferito di essersi sentito «un passero solitario. La solitudine – ha detto Giovanni Ghisleri – mi ha fatto crescere. Se quelle cose non fossero successe avrei continuato a dare per scontate delle realtà vitali che ho notato per via della loro assenza. Mi sarei creduto invincibile e non avrei mai conosciuto la mia pochezza».
Di solitudine come fonte di angoscia, ma anche di riflessione ha parlato Margherita Sabaini, studentessa universitaria che cinque anni fa era al secondo anno di liceo scientifico: «Il tempo trascorso da sola mi ha permesso di conoscermi meglio e mi ha aiutato a capire che ero adatta a un corso umanistico. La solitudine ci ha offerto l’opportunità di disabituarci da qualcosa e riscoprire i valori della quotidianità. Ci ha messi di fronte all’importanza della pazienza, la capacità di sapere aspettare che, purtroppo, i giovani di oggi difficilmente hanno».
Impegno
Anche la sindaca Laura Castelletti e il suo predecessore, Emilio Del Bono, primo cittadino durante la pandemia, hanno esternato le loro emozioni ricorrendo a parole chiave. Castelletti ha parlato di «resilienza, persone che fanno la differenza, capacità di fare squadra e guardare al futuro», ma anche di «rimozione collettiva di ciò che ci ha portato sofferenza» e dell’importanza di «rimettere la scienza al centro».
Con i termini «sgomento», «dolore» e «coraggio», l’ex sindaco ha sintetizzato i suoi ricordi: «La prima sensazione è stata di sgomento: non avevamo compreso la dimensione e la gravità della situazione. Da subito, però, abbiamo lavorato insieme facendo maturare decisioni importanti, come quella del lockdown. Forte è, poi, stato il dolore per un lutto di massa che ciascuno ha vissuto nell’intimità della propria famiglia». L’ex sindaco ha parlato anche di «coraggio, il coraggio di chi stava negli ospedali, di chi faceva andare avanti la città... Ho assistito a tanti gesti di civiltà. Brescia ha rispettato ampiamente tutte le regole».
Il contributo
Il convegno – concluso con un dialogo tra il rettore dell’UniBs Francesco Castelli e Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore della Sanità – ha messo in luce le testimonianze di figure che nel silenzio hanno fatto la differenza. Come la responsabile dei cimiteri Nora Antonini, che ha ricordato l’impegno profuso per dare dignità a un atto doloroso. E ha spiegato perché, a differenza di Bergamo, Brescia non ha vissuto la scena dei mezzi militari che trasportavano le bare verso i tempi crematori fuori regione: «Una multinazionale del porto di Genova ci regalò i container refrigerati in cui conservare le vittime». Parlarne è importante. Come ha spiegato la psicologa Marchetti, «è l’unico modo per ricucire la ferita».
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