Brescia sperimenta lo sguardo nuovo della riforma della disabilità
Nuovo sguardo, nuove procedure, nuovo lessico. La riforma della disabilità - oggetto del decreto legislativo 62 pubblicato in Gazzetta Ufficiale a maggio - ribalta la prospettiva e inizia a farlo da Brescia. La nostra è infatti una delle nove province italiane (le altre sono Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste) in cui, l’anno prossimo, verranno sperimentate le novità.
Lessico
A cambiare, in linea generale, sarà l’approccio alla disabilità: il punto di partenza per costruire una risposta concreta non sarà, come spesso accade ora, l’elenco dei servizi già attivi sul territorio, bensì l’ascolto dei bisogni, dei desideri e delle aspettative della persona. Che, così facendo, verrà posta al centro. Nel dettaglio la riforma che entrerà in vigore il 30 giugno invita a sostituire la parola «handicap» con «condizione di disabilità». Non si parlerà più di «persona handicappata», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile», ma soltanto di «persona con disabilità».
Un’unica visita
La burocrazia viene semplificata. La procedura di valutazione di base volta al riconoscimento della condizione di disabilità sarà affidata in via esclusiva all’Inps dal primo gennaio 2026 e si svolgerà in un’unica visita collegiale. Viene, poi, ufficializzata la volontà di creare attorno ad ogni persona con disabilità un «progetto di vita» che la aiuti a realizzare i propri obiettivi e a migliorare le proprie condizioni, favorendone l’inclusione sociale e la partecipazione. Come?
Individuando «gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli - leggiamo nel testo della riforma - volti anche ad eliminare e prevenire le barriere».
Scelte
Il tutto ponendo sempre l’individuo, si diceva, al centro: la persona con disabilità è infatti «titolare del progetto di vita, ne richiede l’attivazione e concorre a determinarne i contenuti» sulla base dei propri desideri, delle proprie aspettative e delle proprie scelte. Massimo Mille, pedagogista della cooperativa La Mongolfiera, ci aiuta ad entrare nel merito della questione spiegando che la richiesta di progetto di vita va fatta, dalla persona con disabilità o da chi lo rappresenta, ai Servizi sociali di riferimento.
Viene quindi costituita un’équipe multidimensionale composta da varie figure (assistente sociale, medico di base, specialista, coniuge o altro parente, rappresentanti di associazioni...) che fa, appunto, una valutazione multidimensionale utile a «individuare i sostegni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli in base non solo ai bisogni, ma anche alle aspettative e ai desideri della persona - sottolinea Mille -. Insieme si costruisce, quindi, il progetto di vita. Che viene monitorato costituendo tavoli periodici».
Altre novità: «Per stilare il Profilo di funzionamento della persona con disabilità si utilizzeranno i modelli di classificazione internazionale Icf ed Icd e il costrutto Qualità della vita. Un "case manager" terrà le redini del progetto di vita. Progetto attorno al quale verrà per la prima volta costruito un budget».
Via la formazione
Premesso ciò, si parte. Come anticipato dal ministro Alessandra Locatelli ci sarà innanzitutto una fase di formazione per tutti gli enti coinvolti. Formazione che nel 2025 sarà «estesa e capillare. Ad essere interessati saranno enti pubblici, ma anche del terzo settore. L’anima di questa norma è la garanzia che ogni persona sarà protagonista della propria vita».
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