Ats Brescia: come le aziende affrontano il rischio stress correlato

Un problema non da poco: «Le patologie con sintomi di ansia e depressione, rappresentano il secondo problema di salute riferito dai lavoratori in Europa. Attivato uno studio su 80 alberghi
Lo studio di Ats su 80 alberghi - © www.giornaledibrescia.it
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Dal 2008 tutte le aziende, grandi o piccole che siano, sono obbligate a valutare il rischio stress lavoro correlato (Slc) definito da un accordo europeo di quattro anni prima come «una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale che è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentano in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro».

Un problema non da poco: «Le patologie da stress lavoro correlato, con sintomi di ansia e depressione, rappresentano il secondo problema di salute riferito dai lavoratori in Europa - spiegano da Ats Brescia Filomena Schettino (dirigente medico responsabile della Struttura Rischi lavorativi e malattie professionali) e Mjriam Di Bisceglie (dirigente psicologa del Servizio Psal) -. I costi sociali dello stress sono dunque ancora molto elevati, nonostante gli sforzi congiunti fatti in Europa negli ultimi vent’anni».

O meglio da quando, nel 2004, si è iniziato a parlare di stress lavoro correlato per poi modificare l’approccio al problema focalizzando l’attenzione dapprima sui fattori di rischio psicosociali e poi sulla salute mentale, ossia «uno stato di benessere in cui una persona può realizzarsi a partire dalle proprie capacità, affrontare lo stress, lavorare in maniera produttiva e contribuire alla vita della propria comunità».

Sanzioni

Ebbene, l’obbligo c’è, ma non sempre viene rispettato: sulla base della loro esperienza in Ats Schettino e Di Bisceglie fanno notare che «molte aziende non applicano correttamente il metodo di valutazione di questo rischio che, tra le altre cose, prevede l’istituzione di un gruppo di lavoro. Inoltre non sempre ciò che viene dichiarato corrisponde al vero». A loro avviso sottovalutare la questione - oltre ad esporre al rischio di sanzioni - è controproducente: «Prevenire lo stress e favorire il benessere - spiegano - aiuta le aziende a trattenere i dipendenti migliori, accresce la qualità del lavoro e, di conseguenza, la soddisfazione degli utenti». Con questa consapevolezza Ats ha coinvolto in un «piano mirato» un’ottantina di alberghi bresciani con l’intento di capire come si stanno muovendo in termini di valutazione del rischio stress correlato, assisterle in un percorso di miglioramento e vigilare sui risultati.

Lo studio è in corso: quest’anno coinvolgerà anche le aziende che non hanno risposto alla prima chiamata. Fino a questo momento sono emerse «carenze sotto il profilo della documentazione da produrre: ovviamente vanno colmate. A colpirci, però, sono state anche le buone prassi che ci sono state riferite per favorire la sicurezza e l’armonia dei lavoratori». Qualche esempio? «L’installazione di telecamere per proteggere il portiere - spiegano -, il fatto che a una certa ora si chiuda la porta d’ingresso e l’introduzione di regole chiare per evitare che i clienti del bar abusino di alcoli. C’è inoltre stato raccontato che a un cuoco non è stato rinnovato il contratto perché non voleva insegnare nulla ai giovani». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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