La strada, anzi il corridoio, per le stelle. E verso casa

Clementina Coppini
Sedetevi e ammirate corridoi, mappe o percorsi reali: una strada che porta alle stelle e parte sempre e solo da un posto, casa
Capodiponte: la «mappa di Bedolina»
Capodiponte: la «mappa di Bedolina»
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La Mappa di Bedolina è una delle rocce incise più famose al mondo. Si tratta di un'elaborata rappresentazione graffita considerata esempio primigenio di raffigurazione del territorio. È la proto-mappa, spesso rappresentata sulle copertine dei manuali di topografia, studiata da ogni esperto della materia. È una sorta di carta geografica, non si sa bene se simbolica o puntuale. Intende descrivere un luogo che potrebbe essere reale, cioè cosa vedevano coloro che l'hanno personalmente eseguita, oppure rappresenta un concetto più astratto di terra abitata così com'era nella mente di questi uomini.

Consta di una complessa serie di quadrati e rettangoli (Campi? Abitazioni?) all'interno dei quali sono stati incisi alcuni pallini, il cui numero varia a seconda del rettangolo (Persone? Animali?). I vari rettangoli sono uniti tra loro da linee che potrebbero essere strade o un altro tipo di collegamento. Forse era la descrizione non di quello che vedevano i loro occhi, ma di tutto il territorio della Valle Camonica. O una rappresentazione astratta ma precisa di qualcosa che non potevano vedere dall'alto nel suo complesso, ma di cui avevano la capacità di comprendere suddivisioni interne, limiti e confini estremi. Non solo la porzione di territorio che si vede da quel versante, ma qualcosa di più ampio. O potrebbero essere espressione di riti di passaggio arcani. O un proto-progetto architettonico. Siamo di fronte a un complesso gioco di geometrie astratte che si pone agli antipodi delle scene narrative di Naquane, che descrivono episodi di vita quotidiana.

Ormai chiunque può vedere qualsiasi luogo attraverso le cartine satellitari presenti online. Per noi, abituati a viaggiare in aereo, non è complicato comprendere il concetto di panorama visto dall'alto. Ma allora, nell'Età del Ferro, cioè quasi tremila anni fa, non era così automatico riuscire a immaginare qualcosa del genere, anche se da una posizione privilegiata come poteva essere la montagna. Eppure i Camuni ci riuscirono. Siamo a Capo di Ponte, nel parco di Seradina-Bedolina, che ha bei prati da pic-nic e anche qualche pianta grassa, perché sul versante in cui si trova, occidentale, fa caldo.

La mappa più famosa

La grande mappa preistorica scoperta a Bedolina
La grande mappa preistorica scoperta a Bedolina

Scoperta nel 1932, la Mappa, cioè la Roccia 1, grande circa 5 metri per 3, è la più famosa, ma vicino a lei ce ne sono altre. Come la Roccia 7, grande almeno il doppio della 1, sta a dieci metri di distanza ed è stata scoperta solo nel 2005. Quindi non dovremmo parlare della Mappa, bensì delle Mappe di Bedolina, ognuna con centinaia di geometrie che s'intersecano e sovrappongono, in un labirinto bidimensionale suddiviso per moduli collegati da linee. Ciò che lascia stupiti è che questi moduli sono troppi rispetto a case e campi e sentieri che dovevano essere presenti allora nella valle sottostante, quella visibile agli autori: sono anche più di quelli che ci sono adesso.

Alcuni hanno supposto che si trattasse di qualcosa di legato alla matematica, ma non è chiaro in che modo. Insomma, più si crede di aver capito più il senso sfugge. Le mappe sono state create da pochi individui, poiché si tratta di un episodio ristretto nel tempo e nello spazio. Come per le altre incisioni, anche in questo caso non è chiaro se ci fosse alla base un intento artistico, ma resta il fatto che incisioni fatte in questo modo esistono solo qui e che anche oggi cercare di riprodurle non è semplice.

Le teorie sul significato dei complessi disegni che compongono le Mappe sono tante, alcune molto pratiche, altre mistiche o fantascientifiche. Ogni mappa è un labirinto di figure geometriche che s'intersecano e di graffiti che si sovrappongono, creando strutture complicatissime non solo da capire, ma anche da vedere. In certi casi s'intuiscono a malapena. Sono dove le hanno pensate quelli che le hanno fatte e in loro è sintetizzato qualcosa, qualcosa che a volte si crede di aver compreso e altre volte sfugge. Sono enigmatiche, oltre che enigmistiche. La Mappa racconta un progetto. Non ci è dato sapere per certo se sia descrittivo od oggettivo o immaginario.

La Mappa di Bedolina potrebbe essere stata l'immagine vista dall'alto di un villaggio con casette e vie, una sorta di Villaggio Crespi della preistoria. Una piccola società chiusa e autonoma. Per studiare le palafitte, che rappresentano piccola società chiusa e autonoma e cercare di ricostruirne la funzione, il contenuto e la posizione esatta gli archeologi utilizzano la stratigrafia, che un tempo si disegnava e ora utilizza la tecnologia fornita dal GIS, il Geographic Information System, che altro non è se non una mappa dettagliata di ciascuno strato dello scavo, ma, cosa importante, al posto di essere una planimetria tradizionale è un disegno interattivo che puoi interrogare (puoi chiedergli di selezionare i pali piantati lo stesso anno, le ceramiche, le ossa animali, analizzare ogni dettaglio dello scavo).

Il Parco di Seradina-Bedolina, così come quasi tutti i siti di rocce incise, confina con proprietà private. Il dato positivo è che questa commistione tra privato e pubblico dà vitalità e varietà al territorio e aumenta il controllo di ogni zona, il dato negativo è che chissà quante incisioni ci saranno sotto i prati verdi, i cespugli di lavanda e strutture sparse un po' ovunque. Lo dirà il tempo, che ha pazienza. La zona pubblica custodisce quella privata e viceversa. A vigilare un campo che si trova proprio a due passi dalla mappa, ci sono due spaventapasseri, uno vestito da contadina e l'altro da contadino. Sono due pitoti a grandezza naturale, due guardiani non solo di quel campo, ma anche di tutto ciò che c'è intorno. Due stele contemporanee rivolte verso la Mappa che, più che per spaventare e dissuadere, sembrano lì per accogliere chi arriva. E la Mappa, proprio in alto al centro, riporta il graffito di una scala. La roccia in quel punto è rivolta verso l'alto e alla fine della pietra comincia il prato, ma la scala è chiaramente rivolta verso il cielo. Sarà un caso o è una scala per la terra o un corridoio per le stelle?

Il Corridoio Unesco

A proposito di corridoio, il Corridoio Unesco di Brescia nasce dal concetto base di unire idealmente il Parco Archeologico di Brescia Romana a Santa Giulia. È tutto all'aperto ed è fruibile gratuitamente da chiunque. Conduce attraverso i templi alla zona del teatro fino ad arrivare ai chiostri e al giardino dove nella bella stagione ci sono cinema all'aperto e bar. Le vestigia del passato sono anche erba che cresce e ombra e movida serale. Quando il bello che ci circonda possiamo vederlo quando vogliamo, illuminato, diventa in tutti i sensi una luce nel buio. Diventa gioia, momento conviviale, condivisione: diventa parte di noi.

Questo corridoio, breve ma intenso, può senza grandi sforzi di astrazione unire idealmente anche le altre quattro mete bresciane e bergamasche. Le palafitte si raggiungono dopo uno stretto percorso tra il grano, le incisioni rupestri si mostrano ai lati di sentieri di montagna, le vie di Crespi d'Adda uniscono le case del villaggio alla fabbrica e alla centrale idroelettrica in percorsi regolari e geometrici, le mura bergamasche sono una struttura a stella che circonda il colle, un camminamento. Tutti i siti si sviluppano in percorsi più o meno labirintici.

L'interno della chiesa di Santa Maria del Solario, con la teca che contiene la Croce di Desiderio
L'interno della chiesa di Santa Maria del Solario, con la teca che contiene la Croce di Desiderio

Il Corridoio Unesco unisce idealmente la Vittoria Alata alla Croce di Desiderio, simboli di opulenza ma anche di qualcosa di più profondo della devozione: la Riconoscenza per ciò che si è ricevuto. Le statue, anche quelle in onore dei morti in battaglia, le fanno i vivi, coloro che dopo le guerre, anche se sono stanchi, ricostruiscono. I gioielli pure. Questo gioiello specifico, di dimensioni ragguardevoli (158 per 150 centimetri con una profondità di 7 centimetri), venne donato al monastero da qualche dignitario di alto rango o portato in dote da qualche monaca. Un regalo di valore inestimabile: una croce di legno ricoperta d'oro e tempestata di gemme (212), pietre e cammei che ornano entrambi i lati del manufatto. In realtà l'oggetto è stato cesellata nella seconda metà del nono secolo, ovvero in epoca carolingia, quando erano già morti e sepolti da un bel po' sia Desiderio che Carlo Magno, genero di Desiderio, che ripudiò Ermengarda dopo due soli anni di matrimonio (così decise di chiamarla Alessandro Manzoni nell'Adelchi, sebbene lei in realtà si chiamasse Desiderata), costringendola a ritirarsi, disonorata, innamorata e disperata, a Brescia, proprio nel monastero della sorella. La croce non dovrebbe quindi chiamarsi così, ma a volte, pur non ignorando la storia, è meglio abbracciare la leggenda e lasciare alle cose il nome intrinseco alla loro poesia e bellezza.

Una veduta del Villaggio Crespi
Una veduta del Villaggio Crespi

Provate a sedervi davanti alla croce e immaginate le due sorelle davanti al gioiello che parlano una del suo dolore per essere stata rifiutata dal marito, l'altra delle consorelle, tutte provenienti da famiglie molto in vista. Provate a mettervi davanti al dopolavoro del Villaggio Crespi e ad ascoltare i discorsi degli uomini che, dopo una dura giornata di lavoro, si ritrovavano lì per fare quattro chiacchiere e bere un bicchiere di vino, mentre le donne, dopo una altrettanto dura giornata di lavoro, si ritrovavano le faccende domestiche da sbrigare.

Il Bastione di San Giacomo delle mura veneziane di Bergamo
Il Bastione di San Giacomo delle mura veneziane di Bergamo

Provate a sedervi anche lì e poi su una panchina delle molte che ci sono lungo le mura di Bergamo. Pensate a cosa si raccontavano i muratori mentre abbattevano o costruivano. Più complicato immaginare i discorsi dei palafitticoli e dei Camuni, che, essendo così antichi e insieme così postmoderni, parlavano uno slang a noi ignoto. Il fatto che non scrivessero non significa che non si rivolgessero la parola o non scambiassero opinioni. Le voci di corridoio esistono da sempre, si sa.

Questi corridoi, che siano mappe o siano percorsi reali, indicano una strada, per la terra o per il cielo. Serve sempre però un punto da dove partire. È quello per tutti è da sempre uno soltanto: casa.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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