Spunti e spuntini

Clementina Coppini
Cinque itinerari per scoprire i siti Unesco di Brescia e Bergamo tra storia, natura e cibo
Cinque mini-itinerari abbracciabili con la mente, il corpo e anche con lo stomaco
Cinque mini-itinerari abbracciabili con la mente, il corpo e anche con lo stomaco
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Esiste davvero in ognuno di questi luoghi, e in ogni luogo in generale, qualcosa da fare, un percorso particolare che trasmetta una sensazione unica, indimenticabile e che possa considerarsi, in una parola, imperdibile. Chiedilo a cinque persone diverse e cinque risposte diverse avrai, quattro se sei fortunato, tre in caso di pura coincidenza o di miracolo.

Perché allora proporre cinque mini-itinerari e proprio questi cinque? Per un motivo forse banale, ma non così scontato. Sono sempre aperte al pubblico, accessibili e comprensibili a tutti, abbracciabili con la mente e con il corpo e anche con lo stomaco. In questo caso non c'è un momento preciso dell'anno da preferire, anzi ce ne possono essere molti. Frequentare questi angoli può persino diventare un'abitudine non si dice quotidiana, ma periodica. Ognuno può essere collegato a un pasto della giornata: colazione, pranzo, merenda, aperitivo, cena. Ovvio, poi si va quando si riesce, si va quando si ha voglia.

Si sperimenta, si entra in questi posti in senso fisico e metafisico senza necessità di guide o spiegazioni (comunque spesso e volentieri ci sono cartelli esplicativi e non è una vergogna leggerli), immergendosi in qualcosa che fa parte di noi, che evoca ricordi che nemmeno sapevamo di avere e che forse appartengono ad altri, ad altre vite, a storie sentite raccontare da chissà chi. O forse sono i luoghi stessi che ci parlano.

Ne sono stati scelti cinque, uno per sito. Potete trovarne mille altri, più adatti a voi. Devono avere una caratteristica essenziale, tutte le altre sono secondarie: devono risuonare dentro di voi, crearvi un leggero tremolio, come quando due pezzi di una cosa rotta si stanno rinsaldando tra loro, come se una colla immaginaria vi riunisse che non sapevate vi mancasse. Provate una di queste, così, a caso. Oppure cercate altro, così, a caso.

C'è sempre un percorso per ognuno, nato per rinsaldare ogni anima. Bisogna solo capire qual è. Ma non troverete nulla se non intraprendete il viaggio in compagnia degli antenati. Se non li rispettate e non li ascoltate con attenzione: se partite mettendo davanti a tutto voi stessi non vi diranno nulla, non troverete nulla, non proverete nulla e tornerete a casa a mani e cuore vuoti.

Colazione al Corridoio Unesco

Un ottimo modo per cominciare la giornata ammirando l’antica Piazza del Foro
Un ottimo modo per cominciare la giornata ammirando l’antica Piazza del Foro

Il Corridoio Unesco a Brescia la mattina presto, da Santa Giulia al Capitolium (cronologicamente al contrario, ma è più bello così) dà il meglio di sé. Si attraversano i chiostri di Santa Maria in Solario e di San Salvatore e si sfiora l'albero di Ermengarda. Ma ecco l'Aoghiri, pianta che sopravvisse al bombardamento di Hiroshima del 6 agosto 1945. L'originale fu danneggiata, ma non morì. Così nel 1990 Masao Ikehara radunò quaranta semi, ne tenne alcuni e ne donò altri a una scuola. Altre piante crebbero e ora il nipote dell'Aoghiri di Hiroshima è qui, testimone di vita e di pace. Vicino a lui un albero di Kaki, che analogamente non fu distrutto dalla bomba atomica lanciata il 9 agosto del 1945 su Nagasaki. I due alberi dialogano con le strutture architettoniche e indicano la strada verso il teatro romano, chiuso tra case antiche, e verso il Capitolium. Un ottimo modo per rappacificarsi con la vita, la morte e lo scorrere del tempo. E anche per cominciare la giornata ammirando l’antica Piazza del Foro dall’alto pronao del tempio romano.

Passeggiare nella piana del Lucone mette appetito

La passeggiata nell'oasi del lago Lucone si snoda comoda tra i campi e le vigne della Valtenesi
La passeggiata nell'oasi del lago Lucone si snoda comoda tra i campi e le vigne della Valtenesi

Sapete già dov'è e che in mezzo c'è lo scavo in palafitta, sapete che in estate è circondato da campi di mais, cereale che ai tempi delle palafitte in Europa tutti sappiamo che non c'era. Sapete che quel tendone rettangolare copre un campo di pali millenari conficcati nell'acqua e restituiti dalla terra. D'autunno e d'inverno stanno nel silenzio dei tendaggi abbassati, nella quiete dei campi bassi e pieni di brina, nella fanghiglia allegra dei sentieri. In tarda primavera la piana risorge di tenero verde, per poi ritornare nello splendore del mais. Non c'è solo lo scavo, c'è tutto il suo intorno: la conca silenziosa. E in mezzo sempre quel misterioso rettangolo bianco che restituisce le domande che facciamo alla terra secondo una volontà che non ci appartiene, ma è sua, della terra stessa, che risponde a suo modo, se interrogata con pazienza e competenza. Passeggiare qui equivale a stilare interiormente un privato elenco di questioni inespresse, di dubbi forse senza un fondamento e può darsi senza nemmeno una risposta.

Questioni personali ma soprattutto universali, sul senso della Vita e della Storia, sul motivo per cui crescono così vicine la vite e il mais, sul significato che ha poter camminare su ciò che era acqua e adesso è terra, su ciò che fu distrutto dal fuoco e ricostruito e poi abbandonato e tutto ciò respirando l'aria di una piana circondata da agili colline. I quattro elementi s'incontrano e si mescolano e tu insieme a loro, passo dopo passo, in quello che sembra l'inizio del mondo o perlomeno uno dei suoi inizi.

Qui, oltre a ritrovare i quattro elementi, ritrovi quel sano appetito che credevi di avere perso. Chi invece è alla ricerca di una lacustre visione poetica vada alle palafitte di Lugana Vecchia alla base della penisola di Sirmione (la zone zona è parecchio più urbanizzata rispetto ai tempi delle palafitte, sebbene mantenga un indubitabile fascino) e la palafitta di San Sivino, detta anche del Gabbiano, a Manerba del Garda, che si trova sulla Punta dello Zocco (dove convivono natura, lago e qualche campeggio).

Aperitivo ai Massi di Cemmo

Quando cala il sole possiamo notare le incisioni che diventano sempre più scure fino a sparire
Quando cala il sole possiamo notare le incisioni che diventano sempre più scure fino a sparire

I Massi di Cemmo, dell'età del Rame (terzo millennio a.C.), all'apparenza sono enormi pietre. In realtà sono racconti di rara complessità, opere d'arte metafisica che riassumono concetti d'ampio spettro, visioni a dir poco illuminanti. Una verde vallecola e una parete di roccia fanno da sfondo a due pietre che rappresentano l'inizio di un'arte, quella rupestre, destinata a espandersi. Erano cadute dal cielo. Non proprio dalla volta celeste, ma dal dirupo restrostante. Quando i Camuni le videro ne furono ispirati e iniziarono a istoriarci sopra il loro mondo. O forse in questo caso andrebbe coniato un nuovo termine, instoriare, poiché in queste opere intendevano raccontare se stessi e la loro storia.

Nel tempo hanno disegnato e ridisegnato sopra questi massi animali come cervi (addirittura ce n'è uno che ha cambiato sesso ed è diventato cerbiatta), suini, bovini, camosci, stambecchi, cani, lupi, pugnali e anche un carro e un aratro. E tanti tanti esseri umani, le persone che erano lì all'inizio di questa storia di arte, fede e vita, rappresentata dal grande Sole che sta in cima a tutto. Difficile, mentre si cammina sul sentiero per raggiungerli, non percepire in modo distinto l'anima di coloro i quali, in vari tempi e modi e per vari motivi, sono passati di qui. Sono seduti tutt'intorno, appoggiati a queste rocce, e alcuni di loro si sentono più di altri. Questo è un luogo sacro.

Quando ci si sente persi e impauriti, quando si ha subito una perdita il solo avvicinarsi a queste pesanti pietre scese dal cielo aiuta ad alleggerire lo spirito. Su di loro non sono raccontate imprese eroiche: sono popolati da gente pacifica, che ringraziava il sole perché li illuminava e concedeva loro di sopravvivere, anzi vivere. Davanti a questi grandi massi ti senti qualcosa di piccolo, un pitoto che cerca di fare del suo meglio di fronte a qualcosa superiore alle sue capacità di comprensione. E insieme ti senti pieno di speranza, riempito dalla forza che permea questo luogo, dagli spiriti vitali che non sono intrappolati, ma che hanno deciso volontariamente di rimanere qui, come custodi di un portale verso altre dimensioni, che non vediamo per la nostra limitatezza, non perché non c'è. Vederli quando cala il sole è un privilegio, perché possiamo aspettare di essere colti dalla notte senza temerla e gustarci le incisioni che diventano sempre più scure fino a sparire.

Possiamo permetterci il buio perché loro hanno amato il sole. Ogni buio è la promessa di un altro giorno. Proprio qui, all'inizio di tutto, si comprende appieno che la fine non è data: esiste solo il divenire.

Merenda al Villaggio Crespi

Una vera e propria città ideale del lavoro, oggi patrimonio dell'Unesco
Una vera e propria città ideale del lavoro, oggi patrimonio dell'Unesco

I bambini che, usciti da scuola, escono in strada a giocare dopo aver mangiato un pezzo di pane con il formaggio e bevuto un bicchiere di latte, la sirena che suona la fine dell'orario di lavoro. La donne che fanno le pulizie o che vanno al lavatoio a lavare, i nonni che curano l'orto, gli uomini che vanno al Dopolavoro a fare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di vino. Tempo di merenda, che allora non era tè con i biscotti. È pomeriggio, verso le cinque tra le vie del Villaggio Crespi è facile vedere le nonne che entrano in chiesa, le maestre che escono da scuola mentre le bidelle fanno le pulizie, l'imponente ingresso della fabbrica che si svuota, il castello Crespi che pare una fortezza da cui non viene difficile credere che ci sia qualcuno (che sta bevendo il tè con i biscotti o ha già finito) dietro a una finestra che getta discretamente uno sguardo curioso ma non invasivo sul paesino. E il dottore che visita nel suo studio o fa una lastra o gira per il paese a controllare che tutti abbiano una bella cera. Soprattutto i bambini, che sono tanti.

Cena tra le Mura Veneziane

L’inestimabile valore delle Mura è testimoniato anche dal loro riconoscimento Unesco
L’inestimabile valore delle Mura è testimoniato anche dal loro riconoscimento Unesco

Camminare lungo le mura Veneziane di Bergamo soffermandosi sulle porte, in particolare quella di Sant'Agostino, e sui bastioni, in specie quello che punta come una minacciosa saetta verso Milano, di sera, subito prima o subito dopo cena, ha tante sfaccettature. Ti puoi sentire come un soldato di ronda affamato e desideroso di finire il turno per tornare in caserma o, dopo il rancio, pronto (o rassegnato) a una notte di guardia. Oppure innamorato, come i molti che hanno passeggiato e passeggiano qui prima o dopo aver cenato nei ristorantini di Bergamo Alta e Bassa. Oppure puoi vedere solo ciò che c'è, ma esserne così immerso da sentirti parte del progetto originario, da percepire ogni singola pietra e insieme la visione complessiva delle mura in sé e del sistema difensivo di cui facevano parte, che non si fermava a Bergamo, ma aveva altri punti chiave in altre fortezze, che insieme costituivano la macchina territoriale della Serenissima.

Dalle Mura di Bergamo, progettate da un uomo che ci vedeva lontano per un popolo che ci vedeva lontanissimo, si vedono orizzonti nuovi. Si comprende come qualcosa nato per dividere possa unire e come un muro possa, dopo tante traversie, sposarsi con una collina e trovare la pace.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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