La maestra che sfatò la leggenda e scoprì le palafitte
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Il bacino del Lago Lucone, a Polpenazze del Garda, è una conca che può definirsi un piccolo eden. Si trova in mezzo alla Valtenesi, che molti credono (altri ritengono falsa tale ipotesi etimologica) sia la storpiatura di Valle degli Ateniesi. È una valle in cui cresce l'ulivo e affaccia su un lago, il Garda, che pare il mare o un grande porto sul Mediterraneo (cosa che in effetti in qualche modo è). In più ci sono importanti ville romane e, in cima alla Rocca di Manerba, il punto più alto della Valtenesi da cui si domina il Benaco, pare sorgesse un tempio dedicato a Minerva, l'Atena dei Greci. Lei lo scudo ce l'aveva eccome. Con Minerva a guardia del territorio il passo tra Valtenesi e Valle degli Ateniesi diventa breve.
La leggenda che girava da secoli
Ma torniamo al Lago Lucone, bacino prosciugato da millenni e sede di una leggenda che fu scritta per la prima volta nel 1880 ma girava da secoli, anzi da chissà quale remota epoca. Parlava di un castello di legno costruito sull'acqua i cui abitanti conducevano una vita tipo Sodoma e Gomorra. Andavano in giro nudi o sommariamente vestiti, cacciavano, mangiavano, bevevano e si dedicavano a ogni forma di dissolutezza. Insomma, sapevano come divertirsi, ma ovviamente ciò non era accettabile in una società pia, dove quando si contravveniva alla morale vigente era buona cosa farlo di nascosto.
L’anziana impietrita
Ci troviamo in un'epoca indefinita, ma la leggenda girava da un bel pezzo, probabilmente millenni. Si diceva anche che, non si sa quando esattamente, il Signore, stanco di vedere gente che viveva in modo tanto indecente, decise di dare una bella lezione a questi castellani (erano i tempi dei castelli, forse siamo nel Medioevo) e lo comunicò a una vecchia, dicendole quello che aveva intenzione di fare, cioè incendiare il villaggio, ma raccomandandole di non dire nulla e soprattutto di non guardare quello che sarebbe accaduto. Purtroppo l'anziana era pettegola e non riuscì a obbedire nemmeno al Signore. Così vide il castello di legno, colpito da un fulmine, incendiarsi e sprofondare tra le fiamme insieme ai suoi abitanti, alle suppellettili e ai resti dei loro pasti e dei loro gavazzamenti. Così, per punizione, fu trasformata in statua.
Dell'anziana impietrita non è mai stata trovata traccia, ma il famoso maniero dei lussuriosi altro non era che il villaggio di palafitte, fondato nel 2034 a.C., incendiatosi, ricostruito e più tardi ancora collassato nel laghetto, il quale in seguito si prosciugò, sigillando nella torba case, legni, suppellettili, semi, resti di pasto e persino lo scheletro, con cranio, di un bambino.
Per secoli, anzi millenni, il Lucone (probabilmente dal latino lucus, bosco, perché sul lago prosciugato erano cresciuti gli alberi) rimase sepolto e dimenticato, anche se non è detto che ogni tanto qualcuno, passando, non trovasse qualche resto del villaggio che per un motivo o per l'altro riaffiorava dal terreno. Nel 1891 tale Fossati parla di numerosi reperti rinvenuti nei terreni dove si pensa ci fossero le palafitte, notizia che viene ripresa dal Solitro nel 1897. «...intorno e dentro il laghetto Locone o Lucono (lucus), in territorio di Polpenazze; nel quale, mescolati alla torba, si rinvennero copiosamente selci lavorate e frammenti di vasi e di scheletri d’animali...».
La maestra Isa Marchiori Grandinetti
Da ciò deriva che gli storici locali erano a conoscenza dell'esistenza di questo villaggio (e degli altri presenti in zona), ma non trovavano le palafitte particolarmente interessanti. Poi, negli Anni Cinquanta, un giorno arrivò una maestra delle elementari, Isa Marchiori Grandinetti, diventata in seguito Cavaliere della Repubblica al Merito Culturale, come recita la sua lapide situata al cimitero di Polpenazze, situato in un punto da cui si domina la vallecola del Lucone. Isa, oltre che maestra, è anche archeologa e scrittrice (e contessa). Isa Marchiori inizia a frequentare la zona del Lucone e a trovare reperti interessanti. Il villaggio palafitticolo era sprofondato nella torba, materiale anaerobico che, non lasciando passare l'aria, conserva tutto, legno incluso.

Il GGG, Gruppo Grotte Gavardo
Isa, studiosa di storie e leggende del Garda, intuisce che il famoso castello delle anime perdute è esistito davvero ed è molto più antico di quanto si immaginasse. Così si mette in contatto con un altro maestro elementare, Pietro Simoni da Gavardo, che aveva fondato proprio in quegli anni il Gruppo Grotte Gavardo, il Ggg, che, come si evince dal nome, fino a quel momento si era occupato di ricerche speleologiche. Il Maestro Simoni capisce subito l'importanza dei reperti che gli sottopone la collega, così decide di organizzare una serie di campagne di scavo, che si svolgono dal 1965 al 1971. Ed è proprio nel primo anno che la torba restituisce un reperto grandioso: una piroga monossile (cioè scavata in un unico tronco di quercia). Nel Museo Archeologico della Valle Sabbia è ancora appesa in bella vista vicino al calco della piroga (che, a contatto con l'aria, si sbriciolò) la foto del Ggg che la estrae dal fango.
La notizia fece grande scalpore, tanto che alla piroga e ai suoi scopritori venne dedicata una delle celeberrime copertine illustrate della Domenica del Corriere, che per regola si occupavano solo di eventi straordinari. Da sempre la campagna di scavo annuale al Lucone è ad agosto, perché il Gruppo Grotte Gavardo era costituito da volontari, che le loro vacanze le facevano scavando. Gli scavi vennero ripresi in parte negli anni Ottanta e in modo sistematico e continuativo (ma in un altro settore del lago prosciugato) a partire dal 2007.
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Anche oggi lo scavo è frequentato, oltre che da studiosi altamente qualificati, da studenti italiani e stranieri e da volontari e appassionati. Sono una grande famiglia che lavora insieme e che accoglie con affetto i nuovi arrivati, che porta avanti uno scavo scientifico all'avanguardia ma anche grandi amicizie e affetti pluridecennali. La magia del Lucone è anche questa: chi ci lavora, che provenga da Valtenesi, Valle Sabbia, Brescia, Padova, Serbia, Slovenia, Stati Uniti, Gran Bretagna o India si sente davvero erede e custode del villaggio costruito da quelli che percepisce come propri antenati. Ogni volta si crea un gruppo coeso e spesso le persone tornano anche l'anno successivo e quello dopo o quello dopo ancora e, anche quando si laureano o si trasferiscono o cambiano vita e lavoro, tornano a visitare il sito che in qualche modo li lega tutti, la terra che li unisce.
Questo può fare uno pseudo-castello di legno, che maledetto non è mai stato, il quale ogni agosto restituisce, oltre a miriadi di vasi di ceramica in ottimo stato di conservazione, pezzi unici come una porta e due travi forate di quasi otto metri, rarissimi come i cesti e i tessuti, misteriosi come il cranio e lo scheletro di un bambino, bizzarri come il carapace di una tartaruga. Il Lucone è un grande generoso testimone di un periodo cominciato più di quattromila anni fa, continuato per secoli nei cantieri e nella fabbricazione di mobili, nelle basi di capolavori artistici, nella Croce di Desiderio, nelle impalcature delle mura di Bergamo, nel parquet della centrale idroelettrica di Crespi d'Adda, nei telai.
Non c'è giorno in cui un essere umano non abbia avuto e non abbia a che fare con un oggetto di legno. Potremmo trovare mille altri esempi di oggetti in legno presenti in ciascuno di questi siti, così come li possiamo trovare adesso in tutte le nostre case, a dimostrazione che viviamo in una plurimillenaria millenaria Età del Legno.
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