Una pietra che spiega tutto ciò che serve
Una facciata di massi grigi squadrati, con portale romanico sormontato da una bifora e da un’apertura a forma di croce. Solida roccia lavorata, come un’incisione che abbia preso forma tridimensionale. È la chiesa di San Salvatore a Capo di Ponte, località Le Tese. Siamo in Valle Camonica, eppure la costruzione è ispirata alla Francia, in specie alla Borgogna, essendo un perfetto esempio di chiesa romanica cluniacense.
Fatta erigere da Ugo abate di Cluny nel 1095, nel 1460 ha due monaci soltanto e nel 1570, trovandosi in abbandono, viene affidata al Duomo di Brescia e nel 1580 San Carlo Borromeo ordina di mettere cancelli all’ingresso per evitare che entrino animali. Diciamo condizioni non ottimali. Il monastero attiguo cade in rovina, ma l’edificio sacro rimane (miracolosamente) pressoché intatto fino a oggi. Dopo le soppressioni napoleoniche, nel 1879 il sito viene acquistato e restaurato da un privato.
La chiesa
Le strettissime finestre a fessura chissà quante persone hanno visto passare, da cosa si sono difese, chi hanno accolto. La parte posteriore consta di un’abside principale con a destra e a sinistra due absidi più piccole, corrispondenti ad altrettante navate, in asse con il tiburio (struttura esterna che copre la cupola) ottagonale, innestato tra navata centrale e transetto ma con la stranezza di avere lati diversi l’uno dall’altro.
A ogni sfaccettatura corrisponde di certo una storia. E tutto l’insieme sembra nato per resistere e fondersi con gli alberi e la montagna di cui è parte intrinseca, essendo fatto della stessa materia del vero (arenaria grigiastra chiara e scura e calcare chiaro). Nuda pietra, sia all’esterno che all’interno, pavimenti inclusi. I soffitti tutti a crociera. Rari i lacerti di affresco, poiché ci troviamo in un luogo severo.
Le figure
Unica concessione sono i capitelli in marmo bianco delle colonne della navata centrale, scolpiti con bizzarre figure tipiche del Medioevo che ha generato il tutto. Ce n’è uno con Giona e animali strani, uno con quattro sirene a due code e un’espressione poco rassicurante (erano simbolo di falsità e lussuria), uno con otto aquile, un altro con otto anfisbene. Trattasi di un mitico serpente a due teste, una all’estremità opposta dell’altra, con occhi che splendono come fari, generate dal sangue di Medusa dopo la sua decapitazione da parte di Perseo. Quando una testa dorme, l’altra fa la guardia. Forse una osserva chi entra e l’altra chi esce dalla Valle, a protezione di un mondo perduto, che perso non è.
All’interno sasso e intonaco si alternano. La parte centrale grigia e l’abside bianca avente come unica decorazione una piccola croce raccontano di come l’austerità camuna e cluniacense si siano qui incontrate in un dosaggio perfetto, che varia di ora in ora a dipingere le pareti di ombra e di sole. Cos’ha da dirci la pietra? Nulla. Nulla di più di tutto ciò che serve.
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