Se lo sciamano che corre fosse una donna (libera)

Clementina Coppini
Nel parco archeologico di Naquane, in Valle Camonica, sulla Roccia numero 35 c’è un disegno che apre alla meraviglia
Lo sciamano che corre
Lo sciamano che corre
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E se lo sciamano che corre non fosse un uomo, ma una donna? Una donna coraggiosa, libera, dalle spalle ampie e i capelli al vento, che intraprende di slancio e senza paura un viaggio verso una meta ignota? E se quell’oggetto tra le sue gambe fosse non un bastone da stregone o chi per esso, bensì una borsa (una di quelle grandi in cui ci sta un po’ di tutto) che le è caduta dalla spalla mentre affrettava il passo?

Parco archeologico di Naquane, Valle Camonica, Roccia numero 35. Uno si chiede per una vita chi sia quella creatura incisa, le attribuisce un genere e poi, all’improvviso, in una fredda mattina di pioggia (condizione ottimale per osservare le incisioni rupestri, perché da bagnate si vedono meglio e prendere l’acqua in testa irrora i neuroni) ecco che prima arrivano i dubbi pirandelliani e poi si affaccia una prospettiva nuova.

Credi di vedere le cose e di capirle, ma le tue più o meno acquisite certezze spesso sono la metà (a volte anche meno) di ciò che c’è da vedere e da capire. Vivi nella convinzione che quella sciamana sia morta da millenni, essendo l’incisione datata all’Età del Ferro (siamo circa nel primo millennio Avanti Cristo) e poi ti rendi conto che l’hai conosciuta di persona, anzi l’hai seppellita proprio ieri.

Altro errore che hai fatto, non aver compreso che ciò che c’è su quella pietra è la rappresentazione di un archetipo, che si rinnova nelle generazioni e può essere di volta in volta di genere maschile e femminile. E quei capelli al vento possono essere l’immagine del sole, del sacro ma anche dell’illuminazione che alcuni esseri umani hanno in sé e diffondono intorno a sé, migliorando in qualche modo ogni cosa che toccano, ogni persona che incontrano.

In una vita intera non se ne incontrano molti, di stregoni piumati capaci di trasmettere vita ed energia, in grado di battere il record mondiale dei cento metri piani rimanendo tranquillamente seduti a bere un caffelatte con i biscotti. Forse chi ha realizzato questa piccola immensa opera d’arte voleva suggerirci di prestare attenzione ai nostri sciamani e alle nostre sciamane, di tenerceli stretti quando ci sono e di accettare che corrano altrove, perché non possiamo pretendere di averli sempre tutti per noi.

Quando s’incontra una creatura così bisogna essere svelti a riconoscerla e ascoltarla con attenzione. Quando se ne va non c’è da offendersi o piangere, c’è solo da ringraziare e augurarle buon viaggio. E una volta che si è lasciata la Roccia 35 e ha smesso di piovere e si è rimasti soli senza di lei? Ecco, a questo punto bisogna sforzarsi di diventare a nostra volta non si dice la/il sciamana/o che corre, ma qualcosa il più possibile somigliante. Tutto ciò è logico e credibile? Chi lo sa. Ma è davvero importante saperlo? «Per essere veramente un grande uomo, bisogna saper resistere anche al buon senso» (Fëdor Dostoevskij). Per Raffaella

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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