«Se hai dona, se non hai prendi»
A ora di pranzo la Parrocchiale di Santa Maria Assunta è aperta. Malgrado il deserto, il freddo che imperversa anche a Padenghe sul Garda in una pur splendente giornata di gennaio. Costruita alla fine del Cinquecento su una preesistente cappella dedicata a Sant’Emiliano e San Cassiano, fu riprogettata a fine Cinquecento dall’architetto e pittore manierista Paolo Farinati, ideatore anche della facciata, che sarà ultimata solo nel 1682. L’interno riserva una sorpresa dopo l’altra. La prima cosa che si nota entrando non è un particolare artistico, bensì un cartello con la scritta «Se hai dona se non hai prendi». Sotto c’è un cesto pieno di generi alimentari.
In una cappella costruita nel 1836 dopo una spaventosa epidemia di colera è custodito un quattrocentesco crocefisso in legno dipinto. Ai suoi piedi una Deposizione molto intensa, con sette grandi statue lignee. Il Cristo Morto e le persone che lo circondano, tra cui la Madonna, la Maddalena, San Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e gli altri sono perfetti nei panneggi, nell’esecuzione, ma soprattutto nelle espressioni: la serenità nel volto del Salvatore, quasi sorridente, contrasta con il tormento di tutti gli altri presenti, reduci dal raccapricciante spettacolo della Passione.
Siamo di fronte a una Sacra Rappresentazione settecentesca di enorme impatto visivo, ancor più per la scelta di non dipingere i personaggi ma di lasciar parlare le venature del legno. Maria sembra invecchiata di mille anni, scavata com’è dalla disperazione. Guardando quel viso deformato dallo strazio risulta chiaro il concetto di sofferenza. L’opera è di Beniamino Simoni, geniale autore della Via Crucis di Cerveno (le cosiddette Capèle). Di Antonio Calegari sono Umiltà e Castità, statue (anzi capolavori) in marmo di Carrara (datate 1773) poste ai lati dell’immagine sacra della Vergine nella cappella dell’Immacolata Concezione. La Castità con un manto si copre il ventre, l’Umiltà la testa. Del XVI secolo è un San Rocco in legno dipinto.
L’apparato pittorico, oltre alle pale cinquecentesche di Farinati e Zenon Veronese, contempla opere del sei-settecento. Maria in preghiera con il cuore trafitto da sette pugnali, detta anche Madonna dei Sette Dolori, di Antonio Gandino (1626) continua a raccontare il dolore materno come metafora del dolore del mondo, tema assolutamente contemporaneo.
Alzando gli occhi verso l’emisferica vetrata policroma posta sopra l’altare maggiore si nota un dipinto di inizio Novecento del pittore salodiano Angelo Landi: è una lunetta in cui appare una figura femminile genuflessa, assorta in preghiera, eterea come un angelo. Forse è l’altra faccia del dolore, la gioia o l’estasi, emozioni generate dalla vita che prende e dà, le quali possono coesistere nella stessa anima e nello stesso luogo. E che qui si fondono, in modo mistico e imprevisto, nel caldo gelo dell’inverno.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.