Santa Maria della Neve a Puegnago, la cupola che sogna sotto il cielo
La vedi dalla Gardesana. La sua cupola, imponente e luminosa come il riverbero del sole sull’acqua, si staglia sulla cima di una collina che separa la strada dal lago.
Da lontano è un emisferico segnale che ti fa capire dove ti trovi, una boa sospesa in aria. Da vicino è un punto da cui si gode una vista privilegiata della Valtenesi, la Valle degli Ateniesi. È Santa Maria della Neve a Raffa di Puegnago del Garda.
Per vederla da vicino basta svoltare e farsi guidare dalla cupola stessa. Facile quindi approdare a questo angolo di pace che occhieggia tra viti e ulivi. Da lontano viene spontaneo immaginare che l’edificio abbia dimensioni ragguardevoli, eppure così non è. La cupola, una volta raggiunta, per qualche bizzarra magia ottica appare più minuta del previsto, così come la facciata rosa è meno ampia di quanto s’immagini, sebbene sia assai slanciata e snella. D’altronde tendere con eleganza verso l’alto non è diritto di ciascuno?
Superato l’ingresso ti trovi in un’aula di proporzioni ridotte e ti viene il sospetto che l’insieme voglia ricordarti la tua umana limitatezza, come se l’illusoria grandezza, riconfigurata in un’effettiva piccolezza, si facesse metafora della differenza tra quello che credi di essere paragonato a ciò che davvero sei. Insegnamento che da solo vale la gita. L’edificio in origine era dedicato a San Giovanni Battista e solo nel Settecento compare l’intitolazione a Santa Maria della Neve. Unico ricordo di un passato non più visibile nei muri è, nell’abside, la tardo cinquecentesca Madonna in trono con Bambino e il Battista. Per il resto l’aspetto odierno si deve a una ricostruzione realizzata nell’Ottocento (1824-1839) e a successivi rimaneggiamenti, che hanno reso la chiesa un punto di riferimento e la cupola un richiamo per chiunque passi, un faro che suggerisce di avvicinarsi.
Nel 1525 un vescovo definì la struttura «di nessun valore», mentre due secoli dopo era considerata «ben tenuta». I giudizi lasciano il tempo che trovano: invece il Tempo, quello maiuscolo, ci racconta che lei ha assistito a invasioni, pestilenze, disastri naturali come il fulmine che l’ha colpita nel 1831 e il terremoto che l’ha danneggiata nel 2004. La cupola è del 1960.
Sembra antica, invece ha 65 anni. Anzi meno, visto che, insieme al tetto, subì un restauro nel 1980, poiché si rese necessario asportare le parti in amianto.
Questa pieve ha dovuto superare tante prove. Più volte ricostruita, sbagliata nei materiali, distrutta e riaggiustata. Non importa se aveva il tetto di eternit e nemmeno se è stata vittima di una saetta e di un sisma.
Non importa se non è antica o grande quanto si vorrebbe. È bella così com’è, per quello che ispira da lontano, per quello che spiega da vicino. Per le sue ferite sanate, per le sue aspirazioni. Per la sua cupola che oggi sogna tranquilla, protetta dalla volta del cielo.
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