Non facciamoci cadere le braccia
Vi è mai capitato di confondere la destra con la sinistra, di prendere un granchio? A chi scrive è successo talmente tante volte che ormai possiede un allevamento di tali crostacei. Metaforico ma affollato. L’ultima confusione tra destra e sinistra (roba da farsi cadere le braccia) l’ha fatta nella cartolina di domenica scorsa, in cui ha attribuito due bracci destri alla povera MadrePatria del Monumento ai Caduti di Lonato, opera di Luigi Contratti.
Una delle due mani destre, sollevata, sostiene una fiamma e l’altra, abbassata, indica sconsolata il soldato ai suoi piedi. Ecco, questa mano a dire il vero è la sinistra (e il braccio pure). Le braccia delle statue vanno osservate con attenzione: non farlo aumenta i granchi.
Gli arti delle statue
A Brescia c’è, anch’essa del Contratti, la scultura marmorea di Niccolò Tartaglia. La mano destra, sollevata, tiene un compasso con cui il matematico sta tracciando un cerchio, la sinistra è abbandonata lungo il corpo di una grande mente molto concentrata.
La grande statua in bronzo di Arnaldo da Brescia, ribelle frate duecentesco, creata da Edoardo Tabacchi nel 1882, si presenta con entrambe le braccia tese verso la folla, da una parte desiderose di illustrare la corruzione del clero, dall’altra aperte per avvicinare a sé il popolo nella lotta per un’ideale d’integrità.
Giuseppe Zanardelli, patriota, politico e giurista, intabarrato nel lungo cappotto (così lo volle lo scultore Angelo Zanelli), sta dal 1906 davanti al lungolago di Salò nella piazza a lui intitolata. Le bronzee braccia creano, avendo come base le ampie spalle, un triangolo rovesciato affinché le mani si uniscano in una posa elegante. La destra tiene la sinistra dando una forte impressione di saggezza, dignità e compostezza.
Del medesimo autore e nello stesso Comune c’è un busto in marmo di Gasparo da Salò, con le braccia piegate in posizione speculare nell’atto di aiutare le mani a mettere insieme la metà destra e sinistra di un violino.
La bronzea Vittoria Alata da duemila anni ha le estremità superiori a mezz’aria, la sinistra più in alto rispetto alla destra, a sostenere uno scudo che non c’è più. Sembra quasi che questa meravigliosa creatura stia accennando a un passo di un’antica danza con le sue giovani aggraziate braccia scoperte, per esaltare la gloria del vincitore e celebrare la fine della guerra. Che arringhino la folla, creino arte o scienza o siano appoggiate una sull’altra, sconsolate o vittoriose o riflessive, in uguale o diversa posizione, le braccia parlano.
A Brescia, nell’aula centrale del Capitolium, dove un tempo svettava la gigantesca statua di Giove, sono esposti i suoi pochi resti, tra cui il potente avambraccio destro, ancora teso nello sforzo di reggere il fulmine, suo simbolo. Questo mezzo arto di marmo racconta tutto ciò che manca. Che in realtà c’è, basta solo ascoltare e sforzarsi di vedere.
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