Luci e ombre di portici dimenticati

Clementina Coppini
A Gavardo piazza Zanardelli meriterebbe di essere apprezzata e maggiormente valorizzata
Un saluto da Gavardo nella cartolina del 1913
Un saluto da Gavardo nella cartolina del 1913
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Ormai dappertutto si vedono vetrine spente con la scritta Vendesi o Affittasi (grida d’aiuto più che di speranza) e chiese dai portoni sbarrati per mancanza di volontari e vocazioni. Che dire poi di vie e piazze disprezzate, ghettizzate, evitate quando invece meriterebbero di essere aiutate, valorizzate, amate? Un esempio per tutti: piazza Zanardelli a Gavardo, meglio nota come piazza Africa. La spiegazione del soprannome è affidata in questo caso alla vostra immaginazione: a che pro speculare su ferite aperte?

Nell’angolo destro un tempo c’era il Credito Agrario Bresciano e ora c’è la filiale di un’altra banca. È già qualcosa. Peccato che gli scenografici portici cinquecenteschi, sopra i quali sorgono case bellissime (alcune avrebbero bisogno di restauri, ciò non toglie che siano bellissime), pullulino di serrande abbassate, fatta eccezione per le poche attività rimaste: il panettiere, l’erboristeria, il sarto cinese, la macelleria, la beccheria equina, il ristorante, la gioielleria, il negozio di robe varie che fa anche le fotocopie, il kebabbaro che fa anche le pizze e i minimarket gestiti da migranti.

Questo colonnato basso, accogliente, che fornisce un po’ di frescura nelle torride estati ed è rivolto verso la strada che unisce Brescia alla Valle Sabbia e al Garda, si apre al ponte da cui si ammira il retro delle case della piazza, affacciate direttamente sul canale e sugli analoghi edifici posti di fronte a esse, come in una piccola Venezia fluviale.

La piazza

Un tempo piazza Grande e ora intitolata al ministro del Regno d’Italia Giuseppe Zanardelli (bresciano), per secoli a partire dal Medioevo ha brulicato di mercanti e clienti che si affollavano qui il mercoledì, nel giorno del mercato (ora spostato in una piazza forse più ampia ma assai meno poetica). Contadini e agricoltori venivano a vendere animali e prodotti della terra e a concludere affari.

Nell’Ottocento qui sorgevano ben due locali per spettacoli: uno al primo piano di casa Scalvini e l’altro a casa Baruzzi, aperto fino al 1930. Era considerata una parte del paese (ora città) di cui andare fieri. A pochi metri dai portici s’incontrano inoltre casa Susio, con la loggia cinquecentesca, e la quattrocentesca casa Alberghini, dalle finestre ogivali.

Dopo la guerra e il tragico bombardamento che rase al suolo le case di quella che ora è piazza de’ Medici lasciando illeso il vero obiettivo, il Ponte Chiese, questo antico porticato ritornò a essere il salotto della città, sebbene monco di un lato (che purtroppo è andato distrutto). Queste colonne (significativamente diverse l’una dall’altra) non vogliono essere dimenticate: attendono di rivedere tutte le vetrine accese e che le diverse culture presenti in questo incantevole angolo imparino a convivere. Aspettano che qualcuno creda di nuovo in loro. Nel riparo che offrono e nella luce che possono dare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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