L’arte di far zampillare l'acqua dalla roccia come Mosè nell'Abbazia di Rodengo Saiano

Nell’Abbazia di San Nicola a Rodengo Saiano un affresco di Gambara fa riflettere su come attraversare i deserti (della siccità e della vita)
L’Abbazia di San Nicola alle porte di Rodengo Saiano - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
L’Abbazia di San Nicola alle porte di Rodengo Saiano - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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Quanto dovrà piovere prima che questa prolungata siccità fuori e dentro di noi finisca? Prima che questo tentativo di deserto si allontani da noi? Forse sarebbe il caso di cercare un rabdomante, qualcuno che faccia sgorgare l’acqua dai luoghi più improbabili. Un Mosè, insomma, il salvato dalle acque che guida il suo popolo attraverso il deserto e che, salito sul monte Orec per accontentare il suo lamentoso popolo, batte con un bastone la pietra creando un ruscello.

Lattanzio Gambara dipinse l’episodio (non primario nelle Sacre Scritture, anzi piuttosto collaterale) nell’antirefettorio dell’Abbazia di San Nicola a Rodengo Saiano. Tale complesso monastico è pieno zeppo di capolavori e si rischia che quest’opera, persa com’è tra facciate rinascimentali, chiostri uno più incredibile dell’altro e straordinarie pitture di Moretto e Romanino, passi inosservato. Proprio come capita quando appare un corso d’acqua in un infinito deserto: pare poca cosa, ma se si ha sete è fondamentale.

L'opera

Tale affresco costituisce una porzione della magnificente sala dipinta da Lattanzio (che in questo caso si fa concorrrenza da solo), i cui muri sono decorati con scene riguardanti l’Apocalisse (quattro cavalieri inclusi), accompagnate da storie tratte dal Vecchio Testamento che evocano il concetto base dell’intera decorazione: la Salvezza. Eccolo lì, sopra la porta di accesso alla cucina, il Profeta che, compiuto il miracolo, guarda il suo popolo dissetarsi e rinascere. In primo piano c’è una donna che con grazia beve da una coppa, mentre alcuni ragazzi si abbeverano al ruscello, sotto lo sguardo dell’Onnipotente.

Ogni volta che nel nostro piccolo siamo capaci di credere così tanto da far sgorgare l’acqua da un’inanimata pietra diamo un senso alla nostra esistenza. Così l’antirefettorio, dove non si mangia ma dove transitano i cibi e le bevande, diventa importante come la sala dove essi vengono consumati. E Lattanzio, a quarant’anni dalla realizzazione da parte del Romanino degli affreschi del confinante refettorio, corona l’opera del Maestro e suocero scomparso pochi anni prima. Intanto che dipingeva questa sala Lattanzio, artista instancabile, realizzava il suo capolavoro, gli affreschi del Duomo di Parma.

La sua fama sarà offuscata a Brescia da Romanino, Salvoldo e Moretto e a Parma da Correggio e Parmigianino, proprio come la fonte zampillante è messa in secondo piano dalla caduta della manna. A volte si fa un oscuro lavoro in quella che pare un’infinita sala d’attesa e si viene colti dalla tentazione di arrendersi, d’inaridirsi. Invece no, bisogna sempre sforzarsi di far scaturire l’acqua. Anche dalla pietra, se è necessario. Non importa quante sorgenti dovranno farsi strada nella dura roccia prima che questa siccità fuori e dentro di noi finisca: ognuno deve inventarsi l’arte di evocare l’acqua dai sassi. E diventare il Mosè di se stesso.

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