La tomba del carnefice che «racconta» il Sacco di Brescia

Clementina Coppini
La messa a ferro e fuoco della nostra città nel 1512 è descritta da un bassorilievo scolpito da Agostino Busti e conservato al Castello Sforzesco di Milano
«La presa di Brescia» di Agostino Busti
«La presa di Brescia» di Agostino Busti
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Gaston de Foix-Nemour nel 1512 aveva 23 anni ed era già comandante delle truppe di Luigi XII in Italia. E fu proprio lui, il 19 febbraio di quell'anno, dopo una marcia di soli nove giorni, a scagliare 12mila uomini contro Brescia. Per tale rapidità di movimento era soprannominato Folgore e come una folgore si abbatté sulla città il suo esercito, avendo come unico intento uccidere, distruggere, rubare, commettere infamie. Tale episodio esecrabile fece il giro d'Europa ed è noto come Sacco di Brescia.

De Foix, per dare una lezione ai bresciani e a Venezia, scatenò l'inferno. Guasconi (in loro non c'era traccia della sfumatura positiva che ha assunto il vocabolo) e Lanzichenecchi (nome che lascia poco all'immaginazione) per cinque giorni trucidarono, violentarono, mutilarono, devastarono, saccheggiarono, entrando in case e chiese, accanendosi contro la popolazione inerme.

Luigi Avogadro, condottiero bresciano al servizio della Serenissima e paladino della congiura antifrancese, venne arrestato e decapitato in Piazza della Loggia, smembrato e le parti del suo corpo appese in piazza. Bergamo, per evitare tale scempio, si arrese senza opporre resistenza. Brescia impiegherà mezzo secolo a riprendersi dallo shock.

La scultura

Se volete vedere com'era questo giovane generale, al Castello Sforzesco di Milano c'è una scultura che lo ritrae. È sdraiato, in quanto defunto. Eh, sì, perché Gaston non vide l'alba del 1513, poiché morì pochi mesi dopo il sacco di Brescia, durante l'assalto a Ravenna (vinto peraltro dai francesi). Il sarcofago fu scolpito da Agostino Busti (quel che si dice un cognome da scultore) detto il Bambaia.

L'intento era creare una tomba monumentale, che non fu mai conclusa, causa cacciata dei francesi nel 1521. Tra i bassorilievi celebrativi delle imprese, quello intitolato La Battaglia (o Presa) di Brescia (modo edulcorato per descrivere un abominio) riassume le prime fasi dell'evento. In centro c'è una folla di individui, ma si capisce subito chi sono gli invasori, che con fare violento e facce cattive travolgono chiunque incontrino. In basso cavalli e persone calpestate, molti i volti terrorizzati. La città (con la porta sormontata dal leone di San Marco), il castello e il Cidneo sono sullo sfondo.

È la descrizione dell'inizio di un incubo e sembra tutto fuorché la celebrazione di un'impresa gloriosa. L'impressione è che l'autore, nel realizzare l'opera, sia stato influenzato dal suo disappunto per l'empietà che sta descrivendo. Così, nel bianco del marmo di Carrara, in un pannello che in teoria dovrebbe esaltare le gesta del giovane generale scomparso, è scolpito l'orrore di un gesto d'indicibile ferocia, di qualcosa di molto lontano dalla nobiltà e dal coraggio. E così, a corredo del sacello del giovane e bel Gaston, c'è la condanna della sua disumanità. L'arte serve anche a questo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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