La portata morale e storica di un’edicola votiva quasi dimenticata

Clementina Coppini
Si trova tra Salò e la Valtenesi e risale al 1950, Anno Santo che Pio XII aveva definito «Anno del gran ritorno e del gran perdono»
L’edicola votiva si trova sul muro di una casa ormai abbandonata
L’edicola votiva si trova sul muro di una casa ormai abbandonata
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Il Sostituto alla Segreteria di Stato Vaticana Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI e ora San Paolo VI, scrisse che, in vista dell’Anno Santo 1950, si era stabilito di raccogliere fondi per potenziare Radio Vaticana «per dare al Papa lo strumento, la tromba, capace di far udire la voce di Lui a tutti i suoi figli, anche lontani, anzi preferibilmente ai lontani che hanno minore opportunità di avvicinarsi materialmente al centro della cattolicità, dove Egli risiede».

Ne scaturì un evento mediatico trasmesso in diretta a tutto il mondo, che ebbe come protagonista Eugenio Pacelli, asceso al soglio pontificio nel 1939 con il nome di Pio XII all’alba della Seconda Guerra Mondiale, della cui fine si celebra l’ottantesimo anniversario proprio nel 2025. Ora siamo tutti connessi e la cerimonia di apertura dell’Anno Santo in corso, svoltasi la Vigilia di Natale 2024, è stata vista in tutto il globo e si trova con facilità su internet.

«Anno del gran ritorno e del gran perdono» aveva definito Papa Pio XII il Giubileo del 1950, fin dall’apertura della Porta Santa la notte di Natale del 1949. Era il periodo della ricostruzione. Molti non erano tornati dal fronte e molti avevano bisogno di perdono. C’era un profondo desiderio di tornare a sperare. Due anniversari che si assommano, Anno Santo e termine del conflitto mondiale, sono un’occasione per pensare.

Da dove nasce questa riflessione? Da un’edicola votiva sul muro di una casa, anzi un rudere, situata ai bordi di una strada sulle dolci colline valsabbine dietro Salò e la Valtenesi, dove, nelle belle giornate di gennaio, passi, nel giro di un minuto, da luminosi prati verdi ad aree ricoperte da uno strato di brina ghiacciata. Il percorso asfaltato ondeggia tra luce e ombra mentre ti perdi in ragionamenti astrusi. E quando incroci questo tabernacolo con scritto «Anno Santo 1950 Ave Maria» sei subito certo che non l’hai notato per caso. All’interno c’è un vaso di fiori e sullo sfondo s’intravede quello che doveva essere un affresco di Maria. Chissà da quale atto di fede è nato tale tributo, chissà chi l’ha realizzato. Forse era contento di essere vivo o che la sua famiglia, tutta o in parte, fosse sopravvissuta a molti lunghi inverni freddi. O forse voleva ricordare ai passanti e a se stesso di dire una preghiera.

Una santella su un muro diroccato sembra cosa da poco, invece, in quattro parole più un numero, è riassunto tutto ciò che, con i mezzi di ricerca attuali, serve per trovare link utili in senso storico, religioso, filosofico ed etico. Il messaggio nel tabernacolo è un dono venuto dal passato, da tempi in cui non c’erano gli smartphone. Il cellulare consente di fotografarlo, la mente di comprenderne il senso, la sensibilità di coglierne la poesia. È entusiasmante vedere ragione e tecnologia lavorare insieme. Ma senza cuore saremmo solo macchine.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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