La cittadina di Caravaggio resa celebre da un pittore e da una contadina
Anche questa rubrica vuole partecipare con un apporto specifico all’anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023, e lo fa attraversando l’Oglio per «spedire» ai lettori bresciani qualche cartolina anche dalla cugina terra orobica. Un posto il cui nome riporta a un uomo e a una chiesa. Non un uomo qualunque e non una chiesa qualsiasi. Lui è Michelangelo Merisi, nato il 29 settembre 1571 (a Milano) da Fermo e Lucia (loro sì, erano di qui), lei è la Basilica di Santa Maria del Fonte, dove, il 26 maggio 1432, la Vergine apparve a Giannetta de’ Vacchi.
Strana sorte, quella toccata alla cittadina di Caravaggio, resa celebre da un pittore e da una contadina. Ma, a pensarci bene, tale coincidenza non è da ritenersi così assurda poiché entrambi sono uniti dall’incommensurabile dono della capacità di vedere oltre. E cosa c’è di più grande dell’immensità della visione di una creatura innocente e di un talento controverso? Entrambi in fondo erano due disperati: Giannetta per via dell’alcolismo del marito, Michelangelo per via dei suoi molti vizi, tra cui il bere e l’incapacità di controllare la rabbia.
Il panorama che conosci l’hai mai visto deflagrare e frammentarsi? L’hai mai immaginato ingigantire all’inverosimile o oltremodo rimpicciolire? L’hai osservato dentro una nuvola azzurra o nella cruda realtà di una scena da trasporre su tela? E così la trentaduenne, mentre falcia l’erba e prega, vede la Vergine e in quel momento sgorga una sorgente dai poteri taumaturgici. E circa secolo e mezzo dopo, per volontà di Carlo Borromeo e su progetto di Pellegrino Tibaldi, viene intrapresa la costruzione di questa imponente meta di pellegrinaggi.
Caravaggio all’epoca aveva quattro anni. A Giannetta verrà chiesto dalla Vergine di operare affinché finiscano i continui scontri tra Venezia e Milano: la donna incontrerà il Duca di Milano e il Doge e nel 1433 verrà firmata una pace. Anche se non sarà mai intrapreso per lei alcun processo di santificazione, la cultura popolare iniziò presto a chiamarla beata, mentre il Merisi, che di opere presenti in edifici sacri ne realizzò parecchie, in processi fu coinvolto, non certo di beatificazione.
La struttura
Nata per accogliere, impressionare a lasciare senza parole, è circondata da un porticato su tutti e quattro i lati per un totale di 200 arcate, è grandiosa: 93 metri per 33, per un’altezza di 22, che con la cupola arrivano a 64. Grande assente in questo luogo è proprio quello che ci si aspetterebbe di trovare: un’opera di Merisi Michelangelo.
Che sì, era un cattivo soggetto, ma una cosa ha in comune con il sito a lui omonimo: la Fede. Quella che fa sgorgare l’acqua dal nulla, che fa innalzare chiese, che dà l’anima alle tele degli artisti. Come diceva proprio quel matto di un genio: «Prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell’equilibrio che regola l’universo tutto. In questa magia l’anima mia risuona dell’Unico Suono che mi riporta a Dio». Un suono e un magia che sono in Caravaggio e a Caravaggio, entrambi nati per sollevare l’anima verso l’alto.
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