La chiesetta dei viandanti nel cuore della Valtrompia
«Sogno un cimitero di campagna. E io là, all’ombra di un ciliegio in fiore senza età, per riposare un poco, due o trecento anni, giusto per capir di più a placar gli affanni».
Stavolta, al posto del ciliegio di Lucio Battisti, c’è una chiesetta quattrocentesca intitolata a un santo dal nome strano. Filastrio era un vescovo di Brescia della fine del IV secolo, lodato per la sua lotta contro le eresie e per la sua rinuncia alla patria d’origine. Alcuni dicono che venisse dalla Spagna, altri dall’Egitto. Sì, forse era proprio un proto-migrante.
Siamo a Tavernole sul Mella e questo complesso monumentale, composto da chiesa con annessa sala quadrangolare (che poi è la sagrestia) e cappella, è preannunciato da un leggiadro porticato affrescato su uno sfondo di montagne e di lapidi austere. Nella sala quadrangolare si riunì per secoli il Consiglio dei Comuni della Val Trompia. Era un posto importante, insomma, sia dal punto di vista religioso che politico. Chi si aspetterebbe tanta delicatezza in Val Trompia? Eppure eccola che si vede da fuori e si ripete all’interno negli affreschi quattro/cinquecenteschi.
La chiesa ha un soffitto in cotto decorato (originale), che è uno spettacolo quanto tutto il resto. Sotto alcune pitture capita di leggere incisioni con invocazioni e nomi di defunti, le quali si sono sovrapposte nel corso del tempo, creando un libro dei morti molto singolare, che è bello fermarsi a decifrare, attività che in questo caso assomiglia molto a pregare.
A Ognissanti viene esposta e venerata la figura di Don Gherardo Amadini, che poco meno di due secoli si fece in quattro durante una brutta epidemia di colera, facendo dei mezzi (secondo alcuni anche interi) miracoli. Il colera riuscì a uccidere lui, ma non il ricordo di come egli si fosse prodigato per salvare il maggior numero di persone possibile.
Il complesso di San Filastrio, ben visibile perché posto sopra uno sperone di roccia, era celebre ricovero per i viandanti. Intitolato (forse non a caso) a uno straniero, aveva la vocazione di abbracciare tutti: pellegrini, malati, disperati, devoti, ma anche salme e persino politici. Ecco un luogo che fin da epoche remote aveva fatto dell’accoglienza la sua virtù.
Abbiamo troppe preclusioni, troppi limiti che mettiamo tra i luoghi e le persone, tra i vivi e i morti. Ci sarebbe da fare filosofia e teologia, invece è meglio girare intorno all’edificio ed entrare, per sperimentare, invece di teorizzare, un paio di cose che servirebbero a tutti. «Tu chiamale se vuoi emozioni».
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