Il toccante ossario di una battaglia da non dimenticare

Clementina Coppini
Ad Anfo c’è il sacrario dedicato ai caduti della Battaglia di Monte Suello, svoltasi il 3 luglio 1866 tra garibaldini e austriaci
Ad Anfo. Il sacrario per i caduti della battaglia di Monte Suello
Ad Anfo. Il sacrario per i caduti della battaglia di Monte Suello
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Ad Anfo, nei pressi di una delle curve presenti su quel tratto di strada, c’è il sacrario dedicato ai caduti della Battaglia di Monte Suello, svoltasi il tre luglio del 1866 tra garibaldini e austriaci. E chi ci aveva mai fatto caso? È un ossario: visto di sfuggita non sembra molto suggestivo e invece è esattamente il contrario. Non va superato in velocità e ignorato, ma raggiunto per fermarcisi davanti a riflettere. Siamo nella Terza Guerra d’Indipendenza, Garibaldi guida i suoi ma viene ferito. Non a una gamba, ma, colpito da fuoco amico, a una natica. Continuerà a seguire le sue truppe in una carrozza (una sorta di proto-ambulanza).

Sono i garibaldini del quinto reggimento. Professionisti e volontari. C’erano il cavalleggero e il panettiere, il contadino e l’artigliere, lo studente e il falegname. Hanno lottato fianco a fianco in un luogo privo di alberi, contro un nemico che si trovava in posizione migliore perché stava in alto: alcuni sono sopravvissuti, molti i feriti e parecchi i caduti. Bersagli facili.

Il monumento

Muoiono settanta uomini (in realtà quasi il doppio) e dal 1879 gli ex garibaldini raccolgono fondi per edificare questo monumento funebre, inaugurato nel 1885. Prima ciò che restava delle vittime, sparso in fosse comuni, giaceva insepolto. Qui riposano settanta persone giunte da tutto il Nord Italia, sacrificatesi in una battaglia conclusa in un pareggio, perché l’interesse non era la Lombardia, bensì il Trentino. Sono morti per niente? Certo che no. No, finché li ricordiamo. Il sacrario è in stile neobizantino perché piaceva l’idea della cuspide in piombo, che si staglia verso il cielo.

È stata progettata dall’architetto Armanno Pagnoni, che quel giorno di inizio luglio aveva combattuto (all’insaputa dei genitori) all’età di 16 anni, era stato preso prigioniero e incarcerato nel Castello del Buonconsiglio a Trento. Da adulto e da uomo libero costruì il monumento qui e non nel punto dove era stato ferito Garibaldi (distante poche centinaia di metri e a cui memoria c’è una stele con una stella). Quando gli fu chiesto il motivo della scelta Pagnoni dichiarò: «L’ho messo nel posto in cui mi hanno catturato».

D’altronde Garibaldi sosteneva che «un buon soldato è quello che disobbedisce» e Armanno aveva imparato la lezione. Il tetto verrà rifatto nel 2013 perché la copertura era stata rubata. All’interno dell’ossario c’è una botola che custodisce i poveri resti. Fino agli anni ’40 le maestre del luogo vi accompagnavano ogni anno gli alunni, ai quali un addetto consegnava le ossa, che i bambini andavano a lavare e poi riconsegnavano pulite. Un rito di purificazione, per onorare il sacrificio dei martiri. Ora una pratica simile sarebbe ritenuta assurda. Pochi genitori riterrebbero concepibile che il loro figlio lavi i resti di morti in battaglia. È molto meno sconvolgente veder combattere in guerra i figli degli altri.

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