Il cavallo blu nel giardino di Gabriele D'Annunzio
«Io ho quel che ho donato». Cosa ci hai donato davvero, Gabriele? Cosa ci hai lasciato di te? Qualcosa in noi rimane, quando passiamo nella tua dimora. Malgrado i nomi pomposi, il superfluo, l’autoreferenziale, si coglie un’impressione di raccoglimento e riflessione. Chissà se aveva pensato a questo posto come sua eredità o se è diventato un luogo di culto per caso. Davvero è possibile distinguere? Sarebbe come cercare di separare lo scrittore dall’eroe. Il Parco si spiega da sé e, malgrado la complessità della simbologia e delle strutture, in realtà basta un aggettivo soltanto per descrivere tutto: magnifico.
D’Annunzio può essere il tuo autore preferito o uno che detesti dalle scuole medie, ma quando sei nel suo giardino è impossibile pensare che quell’anima strana non avesse stile e buon gusto. Certo il vate doveva essere matto come un cavallo. Guardacaso a guardia del teatro, (di tipo greco, con vista sul Garda) c’è un leggiadro cavallo blu che si profila perfetto sullo sfondo del cielo e dell’acqua. Elegante e imprevedibile come lui, doveva essere il suo animale totemico, anche se in realtà la scultura è lì da pochi anni.
Il Vittoriale
Il dentro e il fuori del Vittoriale sono diversi come lo scuro e il chiaro, la sovrabbondanza e l’essenzialità, il barocco e la classicità. Eppure si compenetrano come se il parco non potesse fare a meno della casa e viceversa. L’insieme è tumultuoso, riesce a toccare una lunga serie di sentimenti e di sensazioni. Sei su quel cavallo, nel teatro, nel Mas, nella nave Puglia, nel torrente. Per le molte ore che resterai dentro (è difficile staccarsi da questo posto) ti chiederai chi fosse davvero quest’uomo che tutto faceva e tutto sperimentava, passava le notti sui libri ed era folle come un cavallo blu. Viene da domandarsi dove fosse il punto d’incontro tra due personalità così contrastanti, l’eroe viveur e lo scrittore austero.
La risposta si scopre nel museo d’Annunzio Eroe. È in una finestra rotonda che dal buio guarda la luce. D’Annunzio era un uomo complicato, eccessivo in ogni sua manifestazione, ma chissà com’era quando, spogliato da tutto il superfluo (un uomo così non poteva non essere in grado di farlo), con il suo occhio stanco guardava l’orizzonte da quell’oblò. A dominare tutto il complesso c’è l’ambiziosa tomba del padrone di casa. È una sorta di circolo di pietre (le quali in realtà sono dieci sepolcri di creature a lui care) che circondano il monolite sotto il quale riposa un uomo monumentale, che da questa collina riesce a trasmettere con chiarezza qualcosa che qui non ci si aspetterebbe mai di percepire: un profondo senso di sacralità.
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