Mai provato a cedere sotto il peso di una croce?

Per immedesimarsi servono capacità di astrazione e insieme empatia: a volte una prevale sull’altra, altre accade il contrario. Ed è allora che si capisce chi si è, fin dove si è pronti a spingersi e quanto pesa la croce che si ha sulle spalle. Tutto ciò è riassunto in una grandiosa lunetta del Moretto.
È centinata, ovvero curva, proprio come la schiena di Cristo, piegata dal legno che sta trascinando sul Calvario per antonomasia. In origine era un affresco della chiesa di San Giuseppe, in seguito staccato, affidato alla Tosio Martinengo e ora appeso nel refettorio del convento che ospita il Museo Diocesano di Brescia. Per qualche alchimia si percepisce subito come sia profondamente giusto il suo trovarsi qui, a testimoniare dolore, fatica, disperazione.
Una presenza giusta
Qui, in questa grande aula dai muri alti, nata per ospitare momenti di condivisione di cibo e preghiera. Non è un’opera che si nota a fatica, essendo 296,5 x 470 centimetri, così come all’istante appare evidente lo sfinimento di quel Povero Cristo che arranca verso il luogo della sua esecuzione.
Che senso ha posizionarla in un salone da pranzo? Non fa un effetto deprimente? Certo, e va bene così. Che si deprima pure, fosse solo per un attimo, chi ha tutto, chi si ostina a non voler sapere che il mondo è pieno zeppo di Cristi con tanto di croci, a volte giudicati con fastidio dal prossimo poiché hanno il cattivo gusto di rammentare con la loro indesiderata presenza la plateale assenza dal genere umano di chi li trapassa con lo sguardo e con lo spirito.
Il peso della croce
È datata 1522-’23: Alessandro Bonvicino (come il personaggio ritratto) aveva circa trent’anni. Forse da giovani si vede meglio o si è meno ipocriti e comunque anche in questa età la strada può essere una dura salita. Questo giovane uomo inginocchiato che, a occhi chiusi per la stanchezza, si appoggia con la testa alla croce è una condanna per tutti.
Non solo per chi dispone di ingenti fortune, ma anche per chi ha più di quanto gli serva e per chi, dovendo scegliere se fare una minima fatica o delegarla ad altri, propende per la seconda ipotesi. Per chi carica di croci i poveracci, li ritiene parassiti e si lamenta se si riposano un attimo, come se il loro diritto di inalare aria rappresentasse un furto.
Il paesaggio da collina bresciana in primavera, Gesù con la lunga tunica sporca, in ginocchio, che poggia la mano sinistra su una roccia per non lasciarsi schiacciare dal legno di cui si vede ogni venatura, non ce la fa più. Il Redentore sta andando a morire, è consapevole che l’ultimo sforzo che lo attende non gli porterà alcuna gioia. È solo, tragicamente solo, ma sta per alzarsi e camminare verso la sua fine. Se riusciamo a immedesimarci almeno un po’ in lui che va deciso controcorrente e a vedere finalmente i (nostri contemporanei) portatori di croce ovunque intorno a noi forse ce la possiamo fare. Forse.
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