Alla scoperta del divino nella chiesa cittadina di San Giovanni Evangelista
La chiesa di San Giovanni Evangelista fu fondata da san Gaudenzio, nato e Brescia nel IV secolo, vescovo della città e amico di sant’Ambrogio. Dell’edificio originario resta ben poco. Ora ha una facciata quattrocentesca con ipnotiche righe orizzontali bianche e mattone e un portale cinquecentesco.
L’interno è una sorta di pinacoteca dei maggiori artisti bresciani. Ma la vera sorpresa è, in fondo a sinistra, la Cappella del Santissimo Sacramento: lì, dal 1521 e per qualche lustro, lavorarono Moretto e Romanino, il primo sulla parete destra e il secondo sulla sinistra. Il Moretto, traendole dal Vecchio Testamento, dipinse la Raccolta della Manna e Elia confortato dall’angelo; il Romanino, ispirandosi al Nuovo Testamento, realizzò la Resurrezione di Lazzaro e della Cena a casa del Fariseo.
Quattro brevi racconti
Racconti speculari su come il divino interviene nella vita dell’uomo per restituirgli le forze nei modi più imprevisti. Elia anziano va sul monte a pregare e l’angelo gli porta da mangiare e gli pone una mano sul capo: quante volte anche noi abbiamo bisogno che qualcuno ci metta una mano sulla testa con affetto? Il popolo di Mosè ha fame e piove la manna dal cielo: non è forse vero che, in tempi di disperazione, speriamo che scenda dall’alto una soluzione? Cristo inginocchiato risveglia Lazzaro dall’aldilà: a chi non piacerebbe risorgere magari non dalla morte bensì da malattia e sofferenza? Infine una nota peccatrice, a differenza del fariseo, il quale crede di capire tutto e invece no, comprende subito chi è davvero Gesù e da sotto il tavolo cosparge di profumo i piedi del Signore e li asciuga con i suoi capelli: chi non vorrebbe avere il cuore di una Maria Maddalena, che nella vita ha conosciuto solo dolore ma è rimasta pulita e illuminata?
Una riflessione immensa declinata in quattro scene diverse che conducono alla stessa conclusione: ci avviciniamo al divino solo quando siamo capaci di condividere pane e dolore, solo quando ci affidiamo a qualcosa che non ci è dato comprendere e ci fidiamo, quando ci rendiamo conto di essere povera cosa di fronte al Tutto e impariamo l’umiltà. Non ci vuole molto a percepire tutto ciò: basta entrare in quella cappellina e i quadri raccontano da soli, con gli infiniti precisi dettagli, il bagliore della seta dei mantelli della Maddalena e di Gesù, i bambini che giocano a raccogliere la pappa scesa dal cielo, l’angelo che trasferisce coraggio al profeta. Più si osservano le opere più sembra che la stanza inizi a ruotare per aiutare lo spettatore a trarne la vera essenza. Qui, dove vivono le anime di Moretto e Romanino, si comprende meglio cosa intendeva Paul Klee quando diceva che «l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è».
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