A una vera Vittoria non serve lo scudo

Clementina Coppini
La dea alata, eletta a emblema di Brixia, la Brescia romana, può essere uno dei simboli del 2 giugno come pure della libertà
La statua bronzea del I secolo d.C. al Capitolium di Brescia
La statua bronzea del I secolo d.C. al Capitolium di Brescia
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Oggi è il 2 giugno. Non è solo qualcosa di grandioso per le donne che quel giorno del 1946 per la prima volta ebbero accesso al voto. Lo è per quelli che sono sopravvissuti. Per noi che siamo qui e per quelli che verranno. È l'occasione per ricordare coloro che sono morti perché quel giorno elettorale arrivasse. Il concetto si chiama libertà, che, come diceva Alighieri Dante, «è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta».

La Vittoria Alata

Cerchi simboli per descrivere questo momento e ce ne sono tanti. Poi però pensi a lei, l'unica e irripetibile Vittoria Alata. Figlia dell'elmo di Scipio, fusa nel bronzo (forse rielaborazione romana di un'opera ellenistica) quando Roma esisteva già da secoli e oggi ancora qui con noi. Non è una semplice figura femminile, bensì la metafora di un successo. Potremmo cercare ovunque, ma alla fine nessuna più di lei, sopravvissuta a millenni di guerre, invasioni, trionfi, splendore, cadute, dolore, lutto, rinascita, può rappresentare così bene questa data.

Aveva uno scudo, le sue mani sono state fatte per sostenerlo. Eppure quell'oggetto di auto-protezione non c'è, è andato perduto. Vuol dire che Vittoria non ha bisogno di difendersi. Può essere ciò che è: libera. Le sono rimaste le ali, non sono cadute. Il che da una parte ci rassicura perché le ha salde sulla schiena e dall'altra ci deve tenere in allarme, perché ciò che ha le ali può, in virtù delle proprie virtù, volare via.

Comunque, come è accaduto ad altre celebri sculture (di solito in marmo, perché di sculture antiche in bronzo al mondo ne sono rimaste pochissime), non ha perso la testa. Quella è sul collo e le braccia le restano ben attaccate alle spalle. È una sorta di Afrodite, in questo caso non concepita nella veste di dea dell'amore, bensì come divinità collegata a sentimenti più astratti e concettuali, come la devozione per la patria, per la quale si può persino essere disposti a morire. Non ha altro ornamento che la sua austera bellezza.

Chi più di lei può comprendere il sacrificio di chi rinuncia alla vita per l'autodeterminazione propria e altrui? Chi più di lei può rappresentare un popolo che festeggia la ricorrenza della sua Repubblica? È arrivata fino a noi non perché ha i superpoteri (ne siamo così certi?), ma perché così doveva essere e, se dopo tutta la strada che ha fatto (anche stando nascosta, perché no?), pur essendo un manufatto in lega di metallo, non riusciamo a rispettarla e a essere orgogliosi di lei, allora siamo proprio senza speranza.

Onoriamo e dedichiamo un pensiero a questa super-eroina senza scudo. L'avrà smarrito in una delle mille battaglie che ha affrontato o forse gliel'hanno rubato o chissà cos'è successo: in ogni caso lei ce l'ha fatta lo stesso. Lei è salda e vincente come sempre, anche senza difese. Cosa possiamo fare per renderla fiera di noi? Semplice: agire in modo che lo scudo perduto non le serva mai.

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