Un anno di pandemia: N come negozi
Negozi
Secondo alcune recenti stime a Roma e Milano, nel complesso, novemila esercizi commerciali non riapriranno al termine della pandemia. Numeri non meno allarmanti ipotizza Confcommercio per commercio e terziario nella sola Brescia: 18mila realtà a rischio. Molte hanno già concluso la loro storia di attività, dilapidando con la saracinesca abbassata un patrimonio di umanità e volontà imprenditoriale incalcolabile. Chiuso per coronavirus recitava qualche cartello affisso nelle giornate che anticiparono il primo grande lockdown della scorsa primavera. La coscienza di molti negozianti imponeva loro di tutelare se stessi, i propri dipendenti, gli stessi clienti. Una spontanea serrata che molti auspicavano di pochi giorni. Forse di qualche settimana. Per molte attività la chiusura è stata indeterminata, per altre il lavoro è a singhiozzo dalla notte dei tempi. Con un’incertezza, che per quel che riguarda la Lombardia ha conosciuto anche l’aggravio dell’errore: una zona rossa che non doveva esserci.
Ricordo un amico barista che nelle prime ore della pandemia, mentre a Milano si parlava di aperitivi e ripartenze, fu tra coloro che sostennero la necessità di chiudere tutto e sollecitarono che ciò avvenisse per presa di coscienza delle istituzioni: «Non ne posso più di servire col sorriso clienti spensierati, quando altri, medici e infermieri, a sera vengono qui per bere qualcosa e dimenticare quello che hanno visto per l’intera giornata. E mi raccontano cose da non credere». Sapeva che rischiava di non riaprire più. Per ora è ancora al timone della sua nave, tra microristori (attesi...), delivery, invenzioni della disperazione. Ma come tutti naviga in acque perigliose, che la neointrodotta zona arancione rafforzata rischia solo di tramutare in tempesta. In cui a soffiare vento sono anche i colossi dell'online.Un anno di pandemia: leggi le altre parole, dalla A alla Z >>
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