Un anno di pandemia: G di Giorno della Marmotta e globalizzazione
«Mi sembra di essere tornato a un anno fa», mi dice Mauro Borelli, direttore dell’Asst Franciacorta, mentre commenta preoccupato i dati sui ricoveri in zona, Chiari in particolare. Ricoveri in aumento, che lo riportano al 24 febbraio 2020, quando con il primo paziente Covid-19 - all’epoca la malattia aveva questo nome da pochi giorni - vide arrivare la prima ondata. E «mi sembra di tornare a sei mesi fa» è la frase che mi disse un’amica infermiera quando, a settembre 2020, iniziò a vedere la crescita dei pazienti in Terapia intensiva.
«Vediamoci sabato per un aperitivo, prima di tornare in zona arancione», mi ha proposto la scorsa settimana un amico sicuro del fatto che la zona gialla non sarebbe durata molto, come accaduto a dicembre 2020. Ci siamo visti dal vivo - era da un anno che non accadeva, da Brescia-Napoli al Rigamonti, quella del coro infausto «Napoletano coronavirus» - con la sensazione che per un altro lungo periodo avremmo dovuto evitarlo, un po’ per scelta, un po’ per forza.
L’anno di pandemia è stato un susseguirsi di situazioni nuove diventate presto familiari: confinamento, mascherine, contagi e decessi quotidiani, limitazioni che vengono e vanno, polemiche varie, percorso casa-lavoro-casa o quello camera da letto-salotto-cucina-salotto-camera da letto, videochiamate, l’ultimo giorno prima di non rivedersi, il primo giorno in cui ci si può rivedere. Tutto diventa già visto, sapendo che è comunque un giorno in più, un mese in più, un anno in più.
«Ricomincio da capo», altrimenti noto come «Il giorno della marmotta» («Groundhog Day») è il film del 1993 che ho sentito citare più spesso durante questa pandemia. Bill Murray si sveglia sempre nello stesso giorno, il 2 febbraio: all’inizio sembra una piacevole sorpresa, col passare del tempo va fuori di testa e tra le altre cose sfascia la sveglia. Il fatto è che anche sfasciandola, il giorno dopo è comunque quello di prima. Non è colpa della sveglia, insomma, ma lo capisco perché anch’io a volte vorrei romperla. Ma mica ce l’ho, una sveglia, ho il telefonino, non sono più gli anni Novanta. È il 2020. Anzi, scusate, il 2021.
Emanuele Galesi
Gel
G come gel. Ci siamo abituati ad utilizzarlo ed è bello vedere i bambini che in qualche occasione rimbrottano i grandi che non lo usano.
Francesco Doria
Globalizzazione
Questa epidemia nasce nel mondo globalizzato. La ricchezza di contatti tra i popoli favorisce la caduta dei «confini» sanitari. Come si può affrontare allora una catastrofe come questa? Da un lato la pandemia ha rafforzato il ruolo dello Stato nazionale, che è intervenuto anche chiudendo le frontiere.
Dall’altro però emerge la necessità di una risposta globale, perché globale è il problema. Esattamente come l’emergenza climatica. Purtroppo l’umanità non ha (ancora) la capacità di unire i suoi sforzi, di collaborare nella sua totalità per rispondere a eventi di questa portata. Manca una governance globale. Ci sono invece regimi chiusi e autoritari, che da principio hanno addirittura nascosto l’emergenza. In aggiunta non sempre esiste una circolazione di informazioni adeguata neppure tra gli Stati democratici, come il caso di certe varianti del virus ha dimostrato.Marco Tedoldi
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