Cenerentolo e il paröl: ogni Ferragosto ha il suo lato B
Il lato B del Ferragosto. «Chèsta l’è bèla...» ridono gli amici mentre si scambiano battute, affidandosi all’ultimo risintì di Braulio per digerire il maiuscolo pranzo festivo. «Chèsta l’è bèla... come el cül dèla padèla» mugugno io, mentre - moderno Cenerentolo - mi trovo da solo a sgürà l’annerito paröl dèla polènta.
Mi consola solo il fatto di compiere un gesto millenario. Sgürà significa pulire grattando: io oggi uso una paglietta di metallo, generazioni prima di me hanno usato la sabbia grossolana del cortile. Come il gesto, così anche il termine ha radici antiche: sgürà arriva da un latino excurare il cui participio excuratus (il bresciano sgüràt) significa curato, raffinato, pulito. Già, pulire... Quando non richiede l’abrasione, l’atto del pulire in dialetto bresciano lo si indica anzitutto col verbo netà, nettàre. Non è un caso, allora, se alcune zone della provincia per definire il moségn (il muco) usano la parola nìta. Il risultato - appunto - della pulizia del naso.
Piuttosto, la stessa radice del verbo italiano pulire la si ritrova nel nostro dialetto dentro al termine pulìto, che però il bresciano usa come avverbio. «Ma recomànde s-cècc, fi’ pulìto...» dicono ai ragazzi le vecchie zie chiedendo loro di comportarsi bene, in maniera corretta ed educata. Un uso che alle mie orecchie risuona in sintonia profonda col francese politesse (sta per l’italiano cortesia) e per l’espressione inglese to be polite (comportarsi educatamente).
Tornando a sgürà (nettàre grattando), il bresciano con schietto realismo ricorda anche che - se di farina grossolana - «la polènta la sgüra le budèle», ma questa è un’altra storia. Il lato B del Ferragosto.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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