Beppe: «La mia vita a Strasburgo in attesa di due polmoni nuovi»
Trascorre i giorni e le notti con l’orecchio teso verso il telefono aspettando la chiamata che gli cambierà la vita. Quel giorno, quando il suo cellulare suonerà, dall’ospedale gli diranno che ci sono due polmoni per lui. A quel punto avrà un paio d’ore al massimo per raggiungere il reparto e sottoporsi al delicato intervento che gli permetterà di respirare naturalmente e di tornare a casa, a Castegnato, dalla sua compagna e dai loro due bambini.
Per Giuseppe Di Perna questi sono mesi di grande «attesa, paura e tensione», ci rivela al telefono. Il 38enne, tra l’altro presidente del gruppo Aido del borgo franciacortino e consigliere della sezione provinciale, è affetto da fibrosi cistica. Nel 2005 al policlinico San Matteo di Pavia ha subìto il primo trapianto di polmoni, operazione che «mi ha consentito di condurre una vita eccellente». Poi, un anno fa, è sopraggiunto il rigetto cronico, un percorso irreversibile la cui unica soluzione è un nuovo trapianto. Quindi, acquisita la consapevolezza di ciò, su consiglio dei medici, a gennaio Giuseppe si è trasferito a Strasburgo dove «le liste d’attesa sono più snelle rispetto a quelle italiane».
La compagna Elena, la figlia di 10 anni e il figlio di 6 lo raggiungono in Francia ogni 2-3 settimane, ma tutti i week end ci sono amici e familiari che percorrono 600 km per andare a trovarlo. «Praticamente non sono mai solo», scherza Beppe. «Quando sono arrivato a Strasburgo - spiega - ho fatto un po’ il turista. Ora, complici il caldo, la ridotta tolleranza allo sforzo e il fatto che io sia attaccato all’ossigeno 24 ore al giorno, sto spesso in casa e lavoro a distanza per l’acciaieria in cui da anni mi occupo di qualità, ambiente e sicurezza».
Giuseppe in Italia teneva conferenze nelle scuole «sul valore del dono, ossia l’ultimo meraviglioso gesto di solidarietà umana che si può compiere». In questi mesi a Strasburgo ha incontrato i referenti dell’associazione francese di donazione organi e tessuti (Adot). «Aido e Adot - dice - hanno lo stesso obiettivo, ma devono raggiungerlo in modo diverso: l’Aido deve convincere a fare, l’Adot a non fare. In Francia, infatti, sono tutti donatori salvo chi esprime la propria contrarietà». Beppe, quando si parla di donazioni, dice sempre di essere «la testimonianza vivente che il trapianto salva la vita: così è andata 11 anni fa e così mi auguro che vada ora». La svolta per lui è legata a una chiamata che «attendo con paura e desiderio di stare bene. Sensazioni che, rispetto al 2005, sono amplificate: ora devo farcela per me, per Elena e per i nostri figli».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato