Tre amici, un viaggio «quasi mistico» tra le nevi tibetane

Stefano Cavagna, Andrea Moretti e Giacomo Venosta raccontano i dettagli «di un mese indimenticabile»
Da sinistra Venosta, Moretti e Cavagna - © www.giornaledibrescia.it
Da sinistra Venosta, Moretti e Cavagna - © www.giornaledibrescia.it
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Le immagini che hanno ancora negli occhi, le notti passate in un monastero ai piedi di un Buddha illuminato, i templi scavati nella roccia, hanno fatto dimenticare le difficoltà incontrate e gli inconvenienti legati alle norme contro il Covid, come le quarantene a cui hanno dovuto sottoporsi. Per il 39enne valgobbino Stefano Cavagna, il 32enne lumezzanese Giacomo Venosta e il 28enne saretino Andrea Moretti, tornati venerdì da un mese e mezzo di trekking sull’altopiano del Tibet, questo è stato «il viaggio migliore compiuto fino ad ora». La loro meta, la Terra di Dolpo, ha confermato di essere l’ultimo rifugio rimasto al mondo di incontaminata cultura tibetana.

Il viaggio, racconta Cavagna, era previsto lo scorso anno, poi il Covid ha bloccato tutto. Dopo due rinvii, per non perdere la possibilità di utilizzare i costosi permessi già acquistati da un anno, i tre amici hanno deciso di anticipare la partenza rispetto ad ottobre, il periodo migliore. A spingerli fino in Tibet il libro «Il leopardo delle nevi», che ha fatto da guida. «Senza quella lettura - aggiunge Cavagna - mai avrei immaginato di recarmi in quei luoghi che appartengono ad un’epoca ormai lontana.

Durante i numerosi imprevisti capitati, abbiamo avuto modo di confrontarci con pratiche locali molto particolari: la cura delle malattie secondo gli antichi testi del Lama reincarnato di Dho Tarap, oppure le previsioni meteo ottenute consultando il calendario tibetano, nel rispetto delle divinità locali che in caso contrario avrebbero continuato a crearci problemi lungo il percorso».

Problemi che, in un paese con pochissimi abitanti, dove non c’è una vera città ma tanti piccoli paesini e monasteri, non sono mancati: neve in abbondanza per la stagione, che ha costretto i tre a prolungare di una settimana la permanenza; sentieri bloccati che hanno impedito il rifornimento di vettovaglie, lasciando i tre senza viveri per tre giorni; attraversamenti di fiumi su ponti strettissimi. «In un luogo pochissimo frequentato dai turisti siamo stati fortunati. Un monastero ci ha ospitato dopo una fittissima nevicata; una famiglia ci ha accolto quando eravamo senza vettovaglie; alle difficoltà normali, si aggiunge poi quella della lingua, nepalese o tibetana». Ora restano le suggestioni di un viaggio quasi mistico, «il migliore fino ad ora».

 

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