Paola, con l’Onu a Gerusalemme per combattere le ingiustizie
Paola è una ragazza a cui le ingiustizie non sono mai piaciute, che fin da bambina ha sempre cercato di difendere chi non poteva farlo da solo. Poi Paola è cresciuta e ha cominciato a guardare il mondo intorno a sé: ha visto che tante cose non andavano nella maniera giusta, e così ha deciso di mettersi in gioco, cercando con il suo lavoro di aiutare il più possibile.
Paola Plona ha 31 anni, viene da Villa Carcina anche se a Brescia sta davvero poco: lavora per le Nazioni Unite tra Gerusalemme e Betlemme, ormai da più di cinque anni. «Sono nella sezione Unrwa (United Nation Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)». L’obiettivo è fornire assistenza ai rifugiati, fornendo tutti i servizi primari necessari, come educazione, cure sanitarie, distribuzione di cibo; operano principalmente a Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, più di cinque milioni e mezzo le persone aiutate.
«Si tratta comunque di rifugiati cacciati dalle proprie terre e che non hanno nulla, noi cerchiamo di fornire loro i bisogni primari, dall’educazione, al cibo, a un posto dove stare. Io ho studiato scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani a Padova, poi ho portato a termine la specialistica a Torino, scienze internazionali». Ma durante la triennale Paola conosce «Operazione Colomba», una Ong che le ha fatto capire cosa voleva realmente fare: «Qualcosa mi si è smosso dentro: allora mi sono sentita di mettermi in gioco in prima persona, per fare qualcosa io stessa».
Dopo una prima esperienza in Palestina, Paola decide però che è necessaria maggiore preparazione, e acquisisce un master in Cooperazione internazionale a Milano: «Sentivo di avere bisogno di maggiori competenze. Anche il lavoro delle Ong è fondamentale, perché sono presenti sui territori e conoscono da vicino le situazioni, ma non si può improvvisare, serve tanta preparazione, perché si tratta di lavori delicati che necessitano conoscenze e un certo tipo di requisiti».
Paola è poi entrata nelle Nazioni Unite grazie al programma Jpo (Junior professional officer), un progetto finanziato direttamente dal Ministero degli Affari esteri italiano, e da due anni lavora in Palestina. Una ragazza estremamente dinamica, che passa praticamente tutto l’anno in zone piene di storia e cultura, ma anche ricche di tensioni: eppure Paola ama quello che fa, coraggiosa ma mai incosciente. «Probabilmente è qualcosa che ho dentro da sempre, fin da quando arrivavano i primi compagni stranieri a scuola e venivano magari presi in giro: non ho mai potuto sopportarlo, non mi piacciono le ingiustizie e crescendo mi sono interessata a vari temi sociali». Paola è serena nonostante il contesto teso in cui opera, una ragazza che ha da sempre le idee chiare e che cerca di dare il suo contributo ogni giorno perché al mondo ci siano meno ingiustizie, coraggiosa e con il desiderio di impegnarsi in prima persona.
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