Omicidio Bailo: «Manuela morì per il taglio della gola»
«Risulta provato che Manuela Bailo non morì per effetto del traumatismo patito al capo, ma che le furono inferti uno o due tagli alla gola quando la giovane era ancora in vita». Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’appello di Brescia nelle motivazioni della condanna a 16 anni per omicidio volontario nei confronti di Fabrizio Pasini, l’ex sindacalista della Uil che nell’estate del 2018 uccise l’amante Manuela Bailo, 35 anni, e occultò il cadavere nelle campagne cremonesi per poi andare in vacanza due settimane in Sardegna con moglie e figli. Disse che dopo un litigio la donna cadde dalle scale.
«Il decesso di Manuela Bailo non è avvenuto nelle circostanze descritte dall’imputato, ma a cagione di una ben diversa condotta da quella posta in essere e precisamente consistita nel taglio della gola della giovane amante» scrivono i giudici bresciani che definiscono Pasini «un abile manipolatore e consumato mentitore, non solo negli accadimenti della sua vita familiare e sentimentale, ma anche nei momenti, certamente tragici e tali da mettere in crisi gli equilibri di ognuno, immediatamente successivi al tragico epilogo del suo rapporto con Manuela Bailo. Non può infatti essere dimenticata l’abile operazione di depistaggio lucidamente messa in atto nei giorni immediatamente successivi dall’imputato per ritardare il più possibile la presa d’atto, da parte di familiari e conoscenti, della scomparsa della vittima il conseguente avvio delle ricerche». Anche in appello così come in primo grado non è stata riconosciuta l’aggravante della premeditazione.
«Manuela Bailo - si legge - era determinata a passare la notte con l’amante, non è certamente contraddittorio prospettare, che la volontà omicida si sia fatta strada nella psiche dell’imputato proprio nel momento in cui si rese conto dell’irremovibile e invincibile decisione dell’amica di passare con lui il resto della notte, così da mettere in crisi le sue abituali strategie e, soprattutto, da rendere problematico il suo rientro dalla moglie».
La decisione di uccidere la giovane non è stata scatenata in Pasini da un impeto mosso in un contesto di gelosia o di rifiuto, ma dalla deliberata scelta dell’imputato, giunto a un vero e proprio redde rationem (resa dei conti, ndr) con le sue menzogne, di sopprimere l’amante anziché confessarle, accettando le conseguenze, l’impossibilità da parte sua di imboccare quella strada di consolidamento della loro relazione verso la quale egli stesso l’aveva sempre più illusa».
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