La difesa di Giacomo Bozzoli fa ricorso: «Sentenza illogica: non ci sono prove che ha ucciso lo zio»

Una difesa di 77 pagine per provare a smontarne 270 di accuse. «Mai avrei pensato che in una sentenza di condanna alla terribile pena dell’ergastolo emessa da giudici italiani si potesse leggere che per la condanna siano sufficienti indizi né gravi, né precisi, né concordanti ed inoltre del tutto privi di fondamento» scrive l’avvocato Luigi Frattini nell’appello contro l’ergastolo a Giacomo Bozzoli, ritenuto l’omicida dello zio Mario, l’imprenditore di Marcheno scomparso l’otto ottobre 2015.
«Sentenza ingiusta»
Secondo i giudici di primo grado il nipote della vittima avrebbe «commesso il reato di omicidio e distruzione di cadavere in concorso con Giuseppe Ghirardini ed Oscar Maggi con il quale avrebbe raggiunto un accordo illecito affinchè non fosse ostacolato». Per la difesa «nelle 270 pagine della sentenza non è indicata alcuna ragione volta a dimostrare quando e con quali modalità Giacomo Bozzoli avrebbe concordato con Oscar Maggi di commettere l’omicidio dello zio e non è indicata alcuna ragione o alcun utile tornaconto per i quali Oscar Maggi avrebbe acconsentito all’uccisione del proprio datore di lavoro ed avrebbe poi aiutato Giuseppe Ghirardini a distruggere il cadavere di Mario Bozzoli nel forno grande della fonderia».
Sempre in un confronto tra giudici e difesa, la Corte d’assise in sentenza ha ipotizzato che i 4.400 euro in contanti trovati a casa di Ghirardini fossero stati consegnati da Giacomo Bozzoli. «Ma - replica l’avvocato Luigi Frattini nell’appello - non viene indicata alcuna ragione volta a dimostrare che tale denaro provenisse effettivamente da Giacomo e quando e come lo avrebbe effettivamente consegnato all’operaio».

Il forno
L’intercettazione
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado il presidente della Corte Roberto Spanò aveva definito «un macigno destinato ad influire sulle sorti del processo» l’intercettazione ambientale del 15 ottobre 2015 tra i due operai Oscar Maggi e Abu. Con quel «se Beppo dice qualcosa di sbagliato siamo rovinati» che per i giudici è stata la dimostrazione che gli operai erano a conoscenza di quanto accaduto a Mario Bozzoli. «L’interpretazione dei giudici è del tutto errata e illogica» tuona la difesa di Giacomo Bozzoli. «Entrambi convocati per la stessa ora in caserma e interrogati separatamente per ore, erano rimasti comprensibilmente intimiditi dai carabinieri e volevano incontrare Ghirardini ma anche l’altro operaio Collins, per controllare l’esattezza dei loro ricordi della sera dell’otto ottobre e non per concordare una versione».
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