Il giallo della morte dell'uomo che per ultimo ha visto Bozzoli
È stato trovato senza vita in riva a un torrente il corpo di Giuseppe Ghirardini, l’operaio della ditta Bozzoli sparito mercoledì. Cinquanta anni, era addetto ai forni.
Patrizia Scalvi, l’avvocato che assiste la famiglia di Mario Bozzoli, l’imprenditore svanito nel nulla dalla sua fabbrica di Marcheno, nel Bresciano, l’8 ottobre scorso aveva lanciato un appello che aveva tutti i crismi del monito. «Chi ha visto o sentito qualcosa lo dica!».
L’uomo era una di quelle persone che certamente aveva visto Bozzoli per l’ultima volta, in abiti di lavoro, nel tardo pomeriggio dell’8 ottobre in fabbrica. Il suo cadavere, rannicchiato, quasi si stesse proteggendo dal freddo, è stato trovato a oltre cento chilometri dalla sua abitazione di Marcheno, da dove si era allontanato mercoledì.
Aveva raccontato di dover partecipare a una battuta di caccia che non si sarebbe mai tenuta. L’uomo, la cui scomparsa era stata denunciata proprio mercoledì, è stato trovato accanto a un torrente, nella zona di Case di Viso, a 1.600 metri di altezza, nella zona di Ponte di Legno.
I segnali che questa vicenda sarebbe finita in tragedia, complicando ulteriormente il giallo della scomparsa di Bozzoli, sono comparsi già venerdì sera, quando la Suzuki Gran Vitara di Ghirardini era stata trovata a Ponte di Legno. Il suo cellulare aveva agganciato per l’ultima volta la cella del Passo di Crocedomini alle 14.30 di mercoledì. Era proprio il giorno in cui avrebbe dovuto presentarsi ai Carabinieri di Gardone Valtrompia per aggiungere particolari alla sua prima deposizione, in cui aveva raccontato come con altri due colleghi avesse visto Bozzoli per l’ultima volta. Quando lo hanno trovato, Ghirardini era vestito, con gli stivali ai piedi.
Quando sono arrivati, i Carabinieri di Brescia hanno provveduto a transennare la zona nei pressi del torrente Arcanello e atteso il medico legale e i militari del Ris di Parma. Il cadavere non presentava ferite evidenti e il sindaco di Marcheno Diego Bertussi ha spiegato che, dalle sue informazioni, l’operaio sarebbe deceduto «per morte naturale, per un malore». Sarà l’autopsia a chiarirlo.
Nei pressi non sono state trovate armi o corpi contundenti. Così come nella Vitara non sono stati rinvenuti reperti significativi. Gli esami tossicologici accerteranno se Ghirardini avesse assunto sostanze tali da causarne la morte, unite al freddo pungente.
«Ogni dettaglio sarà utile - ribadisce l’avvocato Scalvi -: ogni volto più pallido del solito quel giorno in fabbrica, ogni frase sentita. La verità è in quella fabbrica». È questa la convinzione dell’avvocato, che ha chiesto il sequestro dell’azienda, ottenuto solo dopo alcuni giorni dalla sparizione di Bozzoli. L’attività dei forni è proseguita per qualche tempo dopo la scomparsa e questo certo non è stato un bene per le indagini e per chi doveva trovare tracce biologiche, come il consulente della Procura di Brescia Cristina Cattaneo, la stessa del caso Yara e di altri.
Addosso all’addetto ai forni Ghiradini non sarebbero stati trovati biglietti o altro che possano spiegare le ragioni di quella spedizione insensata. «È difficile non mettere in rapporto la sua morte con quanto è successo - ragiona l’avvocato Scalvi -, ma il suo è stato un comportamento tutto da interpretare». Come dire: l’operaio avrebbe avuto un ruolo nella sparizione di Bozzoli, oppure il dramma del suo datore di lavoro può avere sconvolto fino a quel punto Ghirardini, loquace con gli amici («le sparava grosse quando parlava di caccia e di donne», raccontano in paese), ma con la vita costellata di tragici lutti in famiglia e un matrimonio finito a pezzi con una donna brasiliana che gli aveva dato un figlio.
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