Il fratello di Hina: le nozze combinate e le tradizione pakistane

Suleman Saleem, fratello della ragazza uccisa dal padre, parla della sua famiglia, della tragica scomparsa della sorella e delle usanze
Un matrimonio in Pakistan
Un matrimonio in Pakistan
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Hina Saleem avrà una tomba. Una tomba vera. Con la fotografia che non si staccherà al primo colpo di vento come succede ora nel riquadro islamici adulti del cimitero Vantiniano. Con una dedica della famiglia, che oggi non c’è. Con le date di nascita e morte scolpite e non scritte a computer. Spariranno le erbacce e il senso di abbandono. La ragazza musulmana uccisa sgozzata l’11 agosto del 2006 per mano del padre che non sopportava lo stile di vita all’occidentale della figlia, sarà ricordata in modo degno. Finalmente. Grazie ad un benefattore, che preferisce rimanere anonimo, e che si è rivolto a Perani marmista, attività in via Milano, raccogliendo l’appello lanciato dalle pagine del nostro giornale nell’ottobre scorso. «Un bresciano ci ha telefonato proponendosi per finanziare la realizzazione della tomba» racconta il marmista Claudio Tonelli. 

Uccisa nel 2006. Hina Saleem, aveva 21 anni
Uccisa nel 2006. Hina Saleem, aveva 21 anni

Firmato l’accordo con il fratello di Hina, Suleman, che rappresenta l’intera famiglia della ragazza pakistana. «Tra un mese - annuncia Tonelli - la tomba sarà pronta». Suleman Saleem, finalmente Hina avrà uno spazio adeguato al cimitero... «Devo dire grazie a questa persona che paga la tomba. É un bellissimo gesto. Da tempo stavo mettendo via dei soldi, ma non bastano mai. Adesso con mia sorella sceglieremo la foto migliore di Hina».

Sono passati quasi 12 anni dal delitto di sua sorella. Che ricordi ha di quell’11 agosto? «Io ero in Pakistan con altri componenti della mia famiglia. Mi chiamò un amico per dirmi che i telegiornali dicevano che Hina era stata uccisa dal padre. L’ho saputo così. Ho visto mia sorella due giorni prima della partenza, a giugno, quando ci disse che non sarebbe venuta con noi in patria anche se aveva già il biglietto aereo andata-ritorno».

Suo padre Mohammed è stato condannato a 30 anni, i suoi cognati a 17. Avete più parlato del delitto? «Ho visto papà due settimane fa in carcere a Bollate. Lui ha sempre detto di non aver uccisa Hina perché viveva all’occidentale, ma per un momento di rabbia. I miei cognati sono diventati ex perché entrambi hanno divorziato dalle mie sorelle. Uno mi ha detto che vuole rileggere tutte le carte del processo e pensa alla revisione perché crede che la sua unica colpa sia quella di essere stato in casa quel giorno».

Perdonerà mai suo padre per quello che ha fatto? «Mia madre lo ha già fatto. Io non ho ancora deciso. Voglio parlargli quando uscirà dal carcere. Voglio sentire dalla sua voce la verità, voglio guardarlo negli occhi prima di decidere se perdonarlo». 

Come sono stati questi dodici anni senza Hina? «Ci manca tanto. La mia sorella più piccola aveva pochi mesi quando è morta e oggi ha le pareti della camera da letto con le sue foto. Sarà lei a darmi l’immagine per la tomba. Come Hina, veste all’occidentale e si comporta come una ragazza bresciana».

E papà dal carcere che dice? «Nulla. Un giorno è andata a trovarlo in minigonna e non ha detto niente. Per questo dico che la vita all’occidentale non c’entra e che voglio sentire da mio padre la verità».

A proposito di verità, si moltiplicano gli appelli per capire come sia morta Sana Cheema, anche lei pakistana. Un caso paragonato a quello di sua sorella Hina. «Questo mi da fastidio perché sono ormai passati tanti anni e fa male ogni volta leggere di Hina. Mi sento con amici e parenti in Pakistan e mi dicono che della morte di Sana si parla tanto».

Lei che idea si è fatto? «Non lo so davvero. La polizia pakistana ripete che fino a quando non ci sarà il risultato dell’autopsia non darà informazioni. Non voglio pensare che il padre l’abbia uccisa. Se lo ha fatto ha sbagliato in modo grave».

Si parla di matrimonio combinato, di un fidanzato a Brescia e di un desiderio di Sana di vivere all’occidentale. «La famiglia Cheema è molto ricca e potente in Pakistan. La tradizione vuole che i matrimoni avvengano tra persone che si occupano degli stessi interessi. I proprietari terreni con altri del loro stesso rango per esempio, anche se va detto che rispetto ad un tempo c’è meno rigidità sulle caste».

Però i matrimoni restano combinati... «La famiglia propone al figlio o alla figlia un possibile coniuge, ma non c’è alcun obbligo. Se uno dice no il matrimonio non si fa. Una volta obbligavano, ma ora non più. Mia sorella doveva risposarsi per esempio, ma gli uomini che le abbiamo mostrato non le sono piaciuti». 

Lei è sposato? «Si e ho un bambino di un anno nato a Brescia».

Il suo matrimonio è stato combinato? «Mia madre ha scelto la ragazza, ma i patti erano chiari: "le parlo e poi decido". E ho scelto di sposarla. Non l’avevo mai vista prima anche se ero amico del fratello. Ci siamo conosciuti via skype a dicembre di quattro anni fa e a giugno successivo ci siamo sposati in Pakistan. Il primo bacio, non dovrei dirlo perché la mia famiglia non lo sa, è stato prima del matrimonio quando ci siamo incontrati».

Se suo figlio un giorno volesse sposare una ragazza italiana? «Se lei decidesse di diventare musulmana va bene. Altrimenti sarei contrario».

Ancora vecchie tradizioni anche se ormai vive a Brescia da tanti anni... «Dalle scuole elementari. Vivo all’occidentale anche se non frequento discoteche e non bevo alcolici. Però ritengo giusta la mentalità che trasmette la nostra religione. L’ho spiegato anche a mio fratello».

Perché, lui cosa vuole fare? «Ha 22 anni, fuma, beve e va in discoteca. Credo abbia una fidanzata pakistana. Gli ho detto: "così non va bene". Se ti piace, andiamo a parlare con la sua famiglia e vi sposate. É una questione di rispetto. Della religione e della donna».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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