Caso Bozzoli, l’accusa sui passi di Giacomo «che non tornano»
Sui passi di Giacomo Bozzoli. Ci sono andati gli uomini della Polizia giudiziaria della Procura nei giorni scorsi. Con la stenotipia dell’interrogatorio sostenuto in aula dall’imputato lo scorso 9 dicembre a far da navigatore satellitare, hanno ripercorso la strada che il 37enne accusato di aver ucciso lo zio Mario e di averne soppresso il cadavere ha raccontato di aver fatto nei minuti centrali del mistero di Marcheno, la sera dell’8 ottobre di sette anni fa.
Lo hanno fatto con in tasca un iPhone identico a quello posseduto all’epoca dall’imputato. Con installata la stessa applicazione (iHealth) attraverso la quale lo smartphone aveva contabilizzato i movimenti del suo proprietario e gli inquirenti hanno cercato di stabilire dove si trovasse e cosa facesse nei momenti in cui lo zio svaniva nel nulla e l’impianto di aspirazione fumi della sua fonderia andava in blocco.
L’esito, condensato in una relazione destinata a finire nel fascicolo del processo nel corso dell’udienza in programma il prossimo 29 giugno, per l’accusa smentisce la sua versione.
Giacomo Bozzoli spiegò i 352 passi totalizzati dalle 19.18 di quella sera alle 19.32, proprio nei minuti ai quali l’accusa fa risalire l’omicidio dello zio, e l’assenza di movimenti e di comunicazioni nei minuti che precedettero quel lasso temporale, sostenendo di aver dimenticato il cellulare su una ruspa, di averlo recuperato proprio alle 19.18, dopo essersi cambiato ed aver portato gli indumenti da lavoro in auto.«Dopo aver lasciato il giubbino in auto, mi sono accorto - disse il 37enne imputato in udienza - di non avere il cellulare. Vado così verso la ruspa, che è parcheggiata vicino al rottame, prendo il mio telefono proprio alle 19.18 e da quel momento alle 19.32 faccio 352 passi, 300 metri: dalla ruspa alla pesa, dalla pesa al bagno e appena fuori dal bagno mi chiama mia moglie e mi fermo a parlare con mio fratello Alex e poi vado in auto».
Per gli uomini della pg della Procura guidati dal colonnello Amleto Comincini i conti non tornano. Per fare il tragitto che ha illustrato a Giacomo Bozzoli sarebbero bastati 280 passi. Ma non solo. I 352 segnati dal suo cellulare secondo gli inquirenti sono sovrapponibili ad un altro tragitto, molto più vicino al nuovo epicentro del delitto.
Sono compatibili con il percorso che parte dal forno dove il corpo di Mario Bozzoli, anche alla luce dell’esperimento giudiziale voluto dalla Corte d’assise, potrebbe essere finito, contrariamente a quanto aveva sostenuto la Procura generale. Il probabile cambio di prospettiva da parte dell’accusa, con tanto di probabile modifica del capo di imputazione potrebbe comportare uno slittamento del processo, necessario per consentire alla difesa di difendersi dalla nuova accusa. La sentenza, attesa per l’autunno, potrebbe andare al 2023. Ben oltre i sette anni da quella manciata di minuti cruciali.
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