Le maschere del Carnevale di Bagolino e Livemmo danzano davanti al Foro Romano
La tradizione valsabbina sarà protagonista questo pomeriggio in piazza del Foro per l'evento clou che chiude la quattro giorni di iniziative dedicate alla riscoperta del patrimonio culturale, folkloristico e artigianale di un territorio che ne è ricchissimo.
Il programma
Il programma prevede che dalle 14 alle 18 la piazza nobile dell'antica Brixia con vista sul tempio capitolino e l'attiguo Palazzo Martinengo facciano da quinta alla Mostra mercato dei prodotti tipici valsabbini. A dar prova delle proprie abilità, sempre dalle 14, saranno invece gli artigiani del carnevale bagosso: quanti ogni anno confezionano maschere e costumi che hanno reso unico nella storia l'appuntamento con Balarì e Mascher.
Di questi - ma non solo - si parlerà dalle 17 nel corso del convegno «Tradizioni e folklore in Valle Sabbia: i Carnevali di Bagolino e Livemmo e le tradizioni religiose».
Balli e musiche dei carnevali di Bagolino e Livemmo saranno assoluti protagonisti dalle 18. A seguire un apertivo valsabbino con gli studenti dell'istituto Perlasca di Idro.
Dai balarì alle maschere doppie di Livemmo
Se il Carnevale di Bagolino è tra i più celebrati del Bresciano (e non solo), ragione per cui sarà un'occasione pressoché unica vedere i 50 balarì che si esibiranno di fatto davanti al tempio Capitolino, nel cuore del Foro Romano dell'antica Brixia, quello di Livemmo è ricco di suggestioni per molti ancora più misteriose e degne di riscoperta. Il borgo, assurto agli onori delle colonne del New York Times perché destinatario di 20 milioni di fondi del Pnrr, è in realtà custode da secoli di una tradizione carnevalesca fatta di musica (fisarmoniche e pifferi la fanno da padroni) e di maschere uniche nel loro genere e dai significati sociali molto profondi.
L'origine della manifestazione carnevalesca non è nota, ma sicuramente antica è la sintesi culturale che ne scaturisce: secoli di duro lavoro nelle scoscese campagne delle Pertiche, in una comunità con diverse stratificazioni sociali. E le maschere portavano in piazza proprio la ribellione alle classi chiuse, a condizioni servili umili e di sottomissione. Almeno tre i personaggi caratteristici che venivano rappresentati, anche se non ne mancavano altri: «La vecia del val», «L'omasì del zerlo» e «L'uomo bifronte». Ognuna di esse interpreta due figure.
La prima è una vecchia montanara che nel «val», un grosso cesto che anticamente serviva per setacciare l'orzo, sembra portare a spasso il suo uomo.
«L'omasì» invece è un contadino nel cui «zerlo», profondo cesto per portare il letame a spalle, trova posto un altro personaggio, all'apparenza meno goffo e rozzo, che potrebbe essere un altro agricoltore che sfruttava il lavoro del primo. Queste due maschere probabilmente simboleggiano la sottomissione. La particolarità sta nel fatto che lo spettatore trova difficoltà già a comprendere che trasportatore e trasporto non siano due persone in carne ed ossa, ma una sola con fantoccio, figuriamoci a stabilire quale dei due sia l'uomo e quale il manichino. È la donna che porta l'uomo o viceversa? quale dei due contadini, in realtà, è quello che porta l'altro? Una forma di ribellione all'interno delle subalternità sociali regolate da «leggi» mai accettate?
La terza maschera, «l'uomo bifronte» o «doppio», è particolarmente inquietante: sotto un unico cappello due facce di un gigante guardano in direzioni opposte e da sotto il mantello spuntano due «sgalber» che hanno la punta in entrambe le direzioni, manca ogni riferimento per stabilire se il personaggio stia avanzando o indietreggiando: probabilmente simboleggia la contraddizione che è in ciascuno di noi.
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