Femminicidio di Agnosine, il marito: «Ha detto che aveva un altro, ho perso la testa e l’ho uccisa»
Ha negato tutto ciò che decine di testimoni hanno raccontato. Dai maltrattamenti in casa fino alla vita da incubo cui avrebbe sottoposto la sua famiglia. Ha ammesso il reato più pesante che gli viene contestato: l’omicidio della moglie. «Pago giustamente per quello che ho fatto, ma non voglio pagare per quello che non ho fatto» ha detto davanti alla Corte d’Assise, Paolo Vecchia, l’uomo che il 13 settembre 2021 ad Agnosine ha ammazzato la moglie Giuseppina Di Luca dalla quale si stava separando per decisione di lei, che se ne era già andata di casa. L’autopsia ha stabilito che la vittima è stata attinta da 40 coltellate lungo le scale della palazzina dove la donna si era trasferita.
L’omicidio
«Io mi ricordo di averla colpita alla schiena e al collo, ma 40 coltellate me le ricorderei. Ma non mi ricordo» il pensiero di Vecchia. Che ha ricostruito la mattinata dell’omicidio. «Sono andato ad Agnosine e ho parcheggiato fuori casa di Giusy. Pensavo andasse al lavoro alle sette. L’ho aspettata sulle scale. Come mi ha visto ha preso paura, mi ha spinto e si è messa a correre. Le ho afferrato un braccio e le ho detto che dovevo parlarle. Mi ha risposto che non voleva sapere più niente di me. Ci siamo insultati. Io avevo due coltelli in tasca, ma volevo farle paura e credevo che mostrandoglieli magari sarebbe tornata a casa. Mai ho pensato di usarli». E invece li ha usati, li ha impugnati e ha ucciso la moglie che aveva sposato 30 anni prima.
«Stavamo litigando mi è caduto il coltello e quando mi ha detto che aveva un altro uomo da tanto tempo, accecato dalla rabbia, l’ho colpita. Poi non so come lei è riuscita a prendere lo stesso coltello e me lo ha puntato. Allora io con l’altra lama le ho dato altri colpi. Poi ho cercato di rianimarla. L’ho trascinata per le braccia verso il garage per portarla in ospedale, ma ho visto che non respirava più. Allora l’ho lasciata lì e sono scappato. Perché non ho chiamato l’ambulanza? Ero spaventato e non avevo la testa».
Parla mentre le figlie lo fissano sedute a pochi metri di distanza: la più piccola, diventata mamma da poco, piange, mentre la più grande rimane immobile. Anche ieri in aula, così come già accertato durante le indagini, diversi testimoni hanno raccontato che già nei giorni precedenti all’omicidio l’uomo a chiunque incontrasse in paese ripeteva una sola frase: «Se Giusy non torna a casa l’ammazzo». A colleghi, vicini di casa, amici. «Dicevo, "se la vedo con un altro la còpe" ma non avrei mai pensato di farlo. Lo dicevo sul lavoro per sfogarmi, era un modo di dire».
«Non ho mai alzato un dito»
Giuseppina Di Luca se ne era andata di casa il primo agosto 2021 e da un paio di mesi aveva una relazione con un uomo più giovane con il quale aveva trascorso alcuni giorni di vacanza in Calabria un mese prima di morire. «Io non volevo separarmi e non ci ho mai nemmeno pensato. Ci tenevo alla famiglia, le avrei concesso tutto il tempo che voleva, ma doveva tornare a casa. Ho scoperto che lei voleva separarsi solo il primo agosto. Pensavo andasse via solo per farmi paura. Non sapevo dove era stata in vacanza. Come in tutte le famiglie ci sono stati battibecchi, ma niente di clamoroso. Io pensavo che scherzasse quando mi diceva che voleva separarsi. Quando mi ha detto che sarebbe andata via sono caduto in depressione: non mangiavo, non dormivo. Lavoravo sette giorni su sette per non pensare, ma ho perso 25 chili» sono state le parole di Vecchia.
Che è stato incapace di fare autocritica. O che comunque non ha voluto vedere che moglie e figlie non ne volevano più sapere di lui per i suoi modi bruschi, le presunte continue offese e per i contestati maltrattamenti fisici e psicologici. «Non ho mai dato uno schiaffo alle mie figlie e non ho mai picchiato mia moglie in 30 anni di matrimonio. Non ho mai fatto niente di tutto quello che è stato detto. Sì, dicevo loro “Stupida, cretina” in base a come mi rispondevano, ma voglio bene alla mie figlie e ne vorrò sempre. Impedivo alle ragazze di uscire? Non è vero. Imponevo solo degli orari. Non volevo che tornassero alle tre o alle quattro senza sapere dove andassero. Io a quell’ora mi alzavo per andare al lavoro».
Poi prova ad individuare un colpevole. «Il telefonino. Ha rovinato la mia famiglia. Mia moglie lo aveva da cinque anni e da quel giorno sono iniziati i problemi. Le mie figlie e lei lo usavano per guardare le stupidate. Senza il telefonino non sarebbe successo nulla di quanto accaduto». L’uomo che da due anni è in carcere e che rischia la condanna all’ergastolo, ha provato a parlare direttamente alle figlie al termine della sua deposizione. «Mi sono pentito di quanto ho fatto. Per mia moglie che ho ucciso, ma anche per le mie figlie. Non c’è nulla che possa giustificare ciò che ho fatto, non serve a nulla chiedere scusa. Mi vergogno per quello che ho commesso».
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