«Draghi mi aiuti: mia moglie e mio figlio sono bloccati a Kabul»

«Il presidente Draghi mi aiuti, intervenga per riportare in Italia mia moglie e il mio bambino di sette mesi, bloccati a Kabul». Sono partiti da Odolo il 17 luglio per fare visita ai parenti rimasti in Afghanistan. Adesso sono chiusi in casa, senza possibilità di raggiungere l’aeroporto, terrorizzati per le possibili vendette dei talebani. Perché il marito e due cognati della donna hanno collaborato per anni con il contingente Nato.
«Vi prego, aiutatemi». Atullah Solozai, 36 anni, misura le parole e il tono della voce per non allarmare ancora di più i cinque figli in ascolto, rimasti con lui a Odolo. In realtà è disperato. Finora non ha avuto risposte e non sa più a chi rivolgersi. «Ho sentito mia moglie stamattina (ieri, ndr), è spaventata, da una settimana non si muove dall’abitazione di Kabul. I talebani girano casa per casa, cercano chi ha aiutato gli occidentali. All’aeroporto c’è troppa folla, non si riesce a passare». Con la donna rischiano il suo bambino nato nel febbraio di quest’anno, un cugino e due fratelli di Atullah. Lui è arrivato in Italia nel 2015, rifugiato politico.
In Afghanistan aveva lavorato dieci anni per la Nato, sventando anche un attentato terroristico. Due dei suoi fratelli erano stati uccisi dai talebani per rappresaglia, così aveva deciso di lasciare il Paese di origine. Si è stabilito a Odolo e nel 2018, consolidata la situazione economica, ha chiamato il resto della famiglia. Sono in otto: marito, moglie e sei figli. E proprio per farlo conoscere al nonno, la donna e il piccolo, più un cugino di Atullah, in luglio hanno intrapreso il viaggio a Kabul. «La situazione era ancora tranquilla, non potevamo certo pensare che tutto sarebbe precipitato in così poco tempo». Ai primi di agosto, tuttavia, le cose hanno cominciato a farsi difficili. Meglio rientrare in Italia. «Abbiamo cercato di anticipare il biglietto di ritorno con la Turkish Airlines, ma c’era posto solo il 31 agosto».L’aeroporto è nel caos. I talebani hanno lasciato tempo fino al termine del mese per le operazioni di sgombero via cielo, poi interverranno. Non si sa cosa potrà succedere. «Non ho interlocutori, non so più con chi parlare, perciò mi rivolgo al Governo», dice Atullah. «Il bimbo sta male, i miei fratelli mi hanno detto che i talebani stanno cercando chi ha collaborato con la Nato». Atullah faceva l’autista dei camion, trasportava il materiale che arrivava negli aeroporti afghani, destinato ai contingenti. A Odolo ha potuto rifarsi una vita, operaio in fabbrica. «È un bravissimo ragazzo e la sua è una bella famiglia integrata in paese», commenta il sindaco Fausto Cassetti, che li conosce bene. «In queste settimane lavora nei turni di notte per stare vicino ai cinque figli di giorno». Il dramma di Atullah è condiviso dai concittadini di Odolo: «In tanti siamo preoccupati per la sorte della moglie e del bambino, facciamo il tifo per lui». Il sindaco lancia «un appello alle autorità perché facciano qualcosa». Da Kabul arrivano il grido di una donna, il pianto di un bimbo e la richiesta di persone che hanno servito la Nato contro i talebani: «Aiutateci a venire in Italia».
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