Valsabbia

Anas, da Vobarno alla Siria per il jihad

Anas el Abboubi, di Vobarno, è tra i 53 combattenti italiani appartenenti alla galassia dell'estremismo islamico
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Da un istituto professionale di Brescia al fronte di Raqqa, in Siria: «Il mio datore di lavoro è il jihad», scriveva con un kalashnikov in mano nell’ultimo post pubblicato prima di chiudere la pagina Facebook Anas el Abboubi, uno dei foreign fighters italiani. Il suo nome è nell’elenco dei 53 combattenti indicati dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e gli esperti dell’antiterrorismo e dell’intelligence sono convinti che da oltre un anno sia in Siria a combattere tra le fila dell’Isis o dei qaedisti di Jabhat al Nusra.

La sua è una storia come quella di tante altre centinaia di giovani e giovanissimi europei, radicalizzatisi in pochissimo tempo grazie alla propaganda sul web e partiti per i fronti di guerra. Ma quella di Anas - che ha scelto Anas al Italy, Anas l’italiano come nome di battaglia - è anche una storia che chiama in causa il nostro sistema giudiziario: fu infatti arrestato nel giugno 2013 per addestramento con finalità di terrorismo ma fu rimesso in libertà 15 giorni dopo dal tribunale del riesame che, pur avendo riconosciuto le sue posizioni radicali, ritenne che il giovane non fosse in procinto di compiere attentati o gesti di violenza.

Marocchino di origine, naturalizzato italiano, Anas ha 22 anni e viveva a Vobarno, in provincia di Brescia, con il padre operaio cassaintegrato e la madre casalinga. Lui, prima di sparire, frequentava una scuola professionale a Brescia, dove ha conseguito la maturità in seguito all’arresto. Gli uomini della Digos e dell’antiterrorismo che hanno indagato su di lui ritengono sia il fondatore della filiale italiana di «Sharia4», un movimento ultraradicale islamico messo al bando da diversi paesi europei, fondato in Belgio nel 2010 dal predicatore filo-jihadista Omar Bakri, ed era alla ricerca di obiettivi da colpire nella sua città.

Il suo odio per l’Occidente, accertarono gli investigatori, nacque dopo l’11 settembre: tornato a scuola dopo l’attacco alle torri gemelle, il ragazzino fu apostrofato con disprezzo. «Terrorista, talebano», gli gridarono i compagni. Da allora Anas ha cominciato a isolarsi e a frequentare i siti più radicali, quei forum dove si parla apertamente di jihad e di uccidere l’infedele. E in più di un’occasione ha manifestato la volontà di morire per Allah. Prima di sparire Anas l’italiano era ormai diventato un estremista islamico che sul sito veicolava sermoni e documenti di natura jihadista, acquisiva informazioni sulle armi e sulle tecniche di combattimento, sull’uso di esplosivi.

«Dimmi, dimmi o mujahid - scriveva - dimmi cosa ti ispira, se la morte ti spaventa, se la vendetta ti accontenta, se il sangue del nemico non ti sazia, preparati alla lotta, il paradiso ti aspetta...». Su Sharia 4 c’era anche un decalogo con le «12 chiamate ai credenti»: tra queste quella che sosteneva la necessità di «fare esercitazioni dure non solo per combattere ma anche per resistere in prigione, addestrarsi all’uso delle armi bianche per sgozzare i nemici e con fucili per uccidere».

Anas sparisce a settembre 2013, lo ammette anche la famiglia che sostiene che sia partito per Aleppo. «Lavoro per jihad, the trail of political islam» scriveva su Facebook. Poi, ad agosto del 2014, quell’ultimo post prima che il profilo sparisca: «Il mio datore di lavoro è la jihad»..

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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