A Serle c'è Rusì, ultimo mandriano dell'altopiano
Si chiama Italo Ronchi e tutti lo conoscono come Rusì, nomignolo che gli hanno affibiato in onore al pel di carota che un tempo gli ornava copioso il cranio. Con una sessantina di primavere alle spalle è l'ultimo mandriano di Cariadeghe.
Un'attività a rischio d'estinzione da quelle parti. Il Rusì infatti in questi giorni sta facendo i conti non tanto con la sua voglia di andare avanti, che non è mai venuta meno, quanto con le stanche ginocchia che necessitano dell'opera di un chirurgo. Ci proveranno il fratello Antonio ed un nipote, a sostituirlo in attesa della guarigione, che tutti gli augurano veloce. Ma il rischio che la sua attività subisca un drastico ridimensionamento è reale.
Già da qualche anno, infatti, la stalla che possiede accanto alla cascina in località «Necole» si sta svuotando. Prima sono spariti i maiali, poi son diminuite le brune alpine, che oggi sono una ventina e che fruttano qualche vitello da carne e un quintale di latte al giorno da trasformare in pregiati stracchini, burro, formagella e qualche stagionato. Il tutto fatto direttamente sul posto, nel piccolo e sempre lindo caseificio casalingo, per la gioia di quanti salgono lassù a ritrovare le radici. Senza contare che in ogni festa del paese uno dei suoi prodotti, offerto gratuitamente, non manca mai.
Ma non è questa l'unica realtà che senza il Rusì andrebbe persa, quella casearia si intende. Le sue vacche, tutte ancora con le corna come si usava un tempo (ora gliele tagliano perché si fanno male nelle stalle), sono le uniche che ancora tengono puliti e ben concimati i prati demaniali che si alternano al bosco dell'Altopiano. Le uniche a stuzzicare l'eco degli «omber» coi loro muggiti ed il «dlelon» dei campanacci. Particolari senza i quali anche i rinomati piatti serviti con maestria nei numerosi agriturismi della zona, diciamocelo, avrebbero meno gusto.
Ubaldo Vallini
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